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"Occupabile": una parola brutta e fredda che sentiamo ripetere continuamente nel dibattito sorto intorno al Reddito di cittadinanza. Al di là del suono stridente, se si ascolta chi ogni giorno lavora per trovare un’occupazione a quanti hanno sottoscritto il Patto per il lavoro, si scopre una realtà assai diversa dall’affermazione cara alla presidente Meloni: “Tra andare a rubare e stare sul divano prendendo il reddito di cittadinanza, c’è una terza possibilità, il lavoro”.
Chi sono i cosiddetti occupabili
920 mila: questo il numero dei beneficiari del RdC che al 30 giugno 2022 erano indirizzati ai servizi per il lavoro. Di questi 660 mila (il 71,8%) sono tenuti alla sottoscrizione del Patto per il lavoro e i restanti 86 mila (9,4%) risultano esonerati, esclusi o rinviati ai servizi sociali. 173 mila uomini e donne risultano già occupati ma con un salario talmente basso da aver diritto al Reddito e, se cerchiamo di capire chi sono, si scopre che il 53,5% dei beneficiari della misura occupati, risulta avere un rapporto di lavoro con un contratto a tempo indeterminato o in apprendistato, il 39,2% un contratto a tempo determinato e poco più del 4% è occupato con un lavoro in somministrazione.
Il lavoro povero, insomma la fa da padrone. Domanda, il 1° settembre 2023 cosa succederà a queste persone, povere anche se lavorano, a cui verrà tolto il Reddito?
Emilia Romagna, una situazione complessa
Quando si dice povertà, quando si dice mercato del lavoro, occorre sapere ciò di cui si parla. “La vicenda è molto complessa – afferma Paola Cicognani direttrice dell’Agenzia Emilia Romagna lavoro -. I percettori di RdC in carico ai servizi per l’impiego sono in una condizione di povertà non solo economica, ma anche di competenze, a partire dai titoli di studio posseduti, e hanno anche una condizione di povertà di esperienze professionali svolte. Non ho mai visto tanta gente che non ha nemmeno la terza media e che ha collezionato tanti fallimenti professionali”.
Nel 2021 i beneficiari di Reddito di cittadinanza, in carico ai centri per l'impiego dell'Emilia Romagna, erano 32.929. Nel 2022 sono stati 25.920, quindi meno 21,3%. Un buon risultato certo, frutto della ripresa dalla pandemia: si tratta di un territorio dinamico che ha “prodotto” quasi 1 milione di posti di lavoro. Ma quanti sono andati ai “redditisti”?
“Nel 2021 il 35% ha avuto un'occasione di lavoro. Ma – aggiunge Cicognani - una larghissima maggioranza di questo 35%, ha avuto contratti di lavoro di durata inferiore a tre mesi. Quindi, pur avendo incontrato il lavoro, questo non gli ha consentito di uscire da una condizione di povertà”. Anche in questa terra, insomma, la precarietà sembra essere l’unica strada di avvio al lavoro: solo il 11,4% dei posti creati era a tempo indeterminato.
Ma per i percettori del reddito esiste una difficoltà in più. “Tutto questo parlare di occupabili – aggiunge la direttrice – è astratto, i posti a disposizione non sono coerenti con l’età e le loro competenze. Le aziende non li vogliono. Se un’impresa vuole un saldatore, se io gli mando uno che non sa nemmeno cosa significa la parola 'saldatore', non lo prende. La realtà è diversa da come la si racconta”.
E anche il ragionamento sui sei mesi di formazione obbligatoria fatto così è astratto. Per colmare quelle carenze di competenze ci vuole ben altro, e per la gran parte si tratta di persone che hanno oltre 50 anni. “Insomma - conclude la dirigente - il problema non è la cattiva volontà di chi prende il reddito, ma il mercato del lavoro che a lui non offre niente”.
Calabria, il lavoro sempre più povero
I dati relativi al periodo gennaio-ottobre del 2022 dicono che in Calabria sono 100.156 nuclei e 227.299 persone che hanno percepito almeno una mensilità di RdC di importo medio pari a 567 euro. In questa regione vive il 6,6% dei nuclei percettori presenti a livello nazionale e il 10,5% dei nuclei di percettori presenti nelle regioni del Sud e delle Isole.
Ancora qualche numero per capire: analizzando i dati più recenti dei percettori RdC/PdC nel mese di ottobre 2022 in rapporto alla popolazione residente al 1° gennaio 2022, si scopre che i beneficiari rappresentano in ambito nazionale il 5,8% della popolazione, mentre in Calabria sono il 9%. Nella provincia di Crotone i percettori di RdC rappresentano il 13% della popolazione residente nel 2022. Le percentuali di quanti qui sono inviati ai centri per l’impiego o hanno una occupazione sono nettamente infiori rispetto all’Emilia Romagna: In Calabria sono poco meno di 53.000 i beneficiari indirizzati verso i servizi per il lavoro, di questi hanno già un lavoro in 8.300.
Francesco De Simone di Anpal Servizi della Calabria è un appassionato del suo mestiere e dal pensiero lungo: “La povertà è sempre più collegata al lavoro divenuto sempre più povero, sfruttato e insufficiente a colmare lo stato di bisogno. Pertanto, al netto degli strumenti di contrasto alla povertà che possono agire come strumenti di contrasto agli effetti più deteriori prodotti dalla crisi del sistema capitalista, si tratta di dare centralità alla battaglia per il lavoro stabile, tutelato e garantito per tutti”.
E aggiunge: “Il RdC, nato come strumento per combattere la povertà ha prodotto un risultato importante nel contrasto al lavoro povero, ipersfruttato e sottopagato, nel senso che, in una certa misura, ha reso “gli occupabili” meno ricattabili di fronte alla prospettiva di una paga da fame e spesso in una condizione di lavoro nero”.
C’è una riflessione che accomuna le realtà dell'Emilia Romagna e della Calabria e che riguarda il ruolo dei servizi pubblici per l’impiego in questa vera e propria battaglia per garantire un lavoro dignitoso a chi non ce l’ha. Per De Simone “la fragilità e il sottodimensionamento professionale e infrastrutturale del sistema dei Centri per l’impiego rappresentano elementi vincolanti che non permettono lo sviluppo di servizi efficaci di accompagnamento al lavoro delle persone in cerca di lavoro. Per generare un sistema di politiche attive che sostenga le persone nella ricerca di un lavoro stabile e non sfruttato, in un paese con elevati livelli di disoccupazione come l’Italia, è necessario utilizzare le risorse disponibili per potenziare le capacità dei centri per l’impiego di erogare i servizi di supporto e accompagnamento nella ricerca di un nuovo lavoro e questo passa per un grande ampliamento del numero dei lavoratori che operano in questo settore, dotati di competenze adeguate, garantendo un ammodernamento infrastrutturale necessario e rendendo i Cpi servizi di prossimità territoriale. A quattro anni dall’introduzione dell’RdC e con il recente avvio del programma GOL questo non è avvenuto”.