Marianna Filandri è professoressa associata presso il Dipartimento di Culture, politica e società dell'Università di Torino, la materia del suo insegnamento dice molto: sociologia delle diseguaglianze. Ci sono alcune parole che esplicitano il suo pensiero: inclusione, uguaglianza, beni comuni, coesione sociale. È convinta che vada difeso o meglio rilanciato il modello sociale europeo; da quando ne abbiamo perso pezzi sono aumentate le diseguaglianze e si è affermato un falso mito meritocratico, il faro accesso sul singolo individuo che se si impegna ce la fa, contro la cooperazione e l’ottica collettiva. I referendum promossi dalla Cgil, sui quali si vota in primavera assieme a quello sulla cittadinanza, secondo la professoressa vanno nella direzione opposta del riconoscimento dal valore del lavoro. Un’occasione da non perdere.

Dal secondo dopoguerra l'Europa è stata la patria del welfare. La Costituzione italiana indica salute, istruzione, mobilità come diritti di cittadinanza. Non solo negli Stati Uniti sembra soffiare un vento che vuole buttare giù quel modello di stato sociale e quei diritti di cittadinanza garantiti dalla nostra Carta. È così?

Sì, in realtà bisogna dire che l’attacco al modello sociale europeo è, ahimè, ben precedente all’elezione di Trump. I tentativi di demolire o comunque ridurre il welfare sono cominciati già molti decenni fa. La deregolamentazione del mercato del lavoro con la progressiva riduzione dei diritti di lavoratori e lavoratrici e un maggiore ruolo del mercato, ad esempio, sono parte rilevante di quella strategia demolitoria che in Italia è iniziata già negli anni ‘90 dello scorso secolo. Oggi questo processo è plateale e molto più aggressivo, sotto attacco è direttamente il ruolo dello Stato.

Ci spieghi meglio.

Quando venne introdotta la flessibilità del mercato del lavoro la si giustificò affermando che il nostro mercato era molto rigido, che rendeva difficile l’ingresso alle donne e ai giovani. C’era comunque un obiettivo di inclusione di figure ritenute fragili, una flessibilità all'ingresso che incentivava le aziende ad assumere, confidando che quelle persone rimanessero nel mercato del lavoro. Adesso non è così, ora c'è proprio un attacco diretto al ruolo dello Stato. Si sostiene che non è efficiente, non è competitivo, e che le risorse per il welfare sono sprecate. È cambiata proprio la narrazione; quel che c’è dietro questi attacchi del modello sociale europeo è ancora più pericoloso, non si persegue più l'idea di un bene pubblico. Si perseguono invece obiettivi di efficienza, di merito, di valorizzazione dei migliori. Si vuole affermare, in parte si è già affermato, l’interesse prevalentemente individualistico abbandonando l'ottica collettiva.

C'è un termine che lei ha usato che trovo rilevante: inclusione. Il modello sociale europeo e la Costituzione – insisto – avevano, hanno al centro inclusione, solidarietà, parità. E questo presupponeva, ad esempio, l'istruzione libera e gratuita, la sanità universale e pubblica e il trasporto pubblico locale, eccetera. Oggi sembra che assistiamo a un restringimento sempre più marcato di tutto ciò che è il perimetro pubblico.

È esattamente così. Il restringimento del perimetro pubblico porta inevitabilmente a un tema fondamentale, quello della disuguaglianza. E quindi al tema della coesione sociale, al riconoscimento di diritti, al riconoscimento di beni e servizi fondamentali di cui nessuno dovrebbe essere privato, partendo dal presupposto che gli individui sono uguali perché sono persone, hanno una dignità che gli viene riconosciuta. È di questi giorni il rapporto sui livelli essenziali in sanità: il diritto alla salute non è affatto uguale in tutte le regioni del Paese. Se la disuguaglianza diventa così marcata, per cui alcuni – pochi - hanno tantissimo, molti altri hanno pochissimo viene meno l’idea di uguaglianza, viene meno anche la coesione sociale. Le persone, non riconoscendosi più come tali, non pensano che sia necessario garantire a tutti dei servizi fondamentali. Al contrario si afferma l’idea che ognuno faccia per sé e chi è bravo, chi è in gamba può farcela. Quindi l’aumento della disuguaglianza porta con sé una diminuzione della coesione sociale e così si mina ulteriormente il modello sociale europeo.

Come si realizza lo smantellamento del modello sociale europeo?

Attraverso i tagli alla spesa pubblica e la privatizzazione progressiva dei servizi pubblici, dalla sanità all’istruzione, dai servizi alla persona al trasporto pubblico locale ecc. E attraverso la svalorizzazione del lavoro pubblico, accade anche da noi, ed è veramente terribile. Vorrei soffermarmi un momento su questo. I dipendenti pubblici vengono ancora rappresentati con degli stereotipi, si dice siano inefficienti pur avendo il posto garantito, addirittura pochi anni fa durante la pandemia o il post-pandemia si è detto che non si poteva continuare con lo smart working perché i dipendenti da casa non lavoravano. Abbiano ascoltato degli insulti plateali… Invece sono lavoratrici e lavoratori che portano avanti la cosa pubblica, e per questo andrebbero valorizzati. Ecco, questa narrazione è funzionale al non riconoscere il valore della cosa pubblica.

Quanto l'aumento delle diseguaglianze, la diminuzione incide sull'allontanamento dei cittadini e delle cittadine dalle istituzioni e dalla politica?

Il sentirsi, l’essere esclusi sicuramente allontana dalle istituzioni e dalla politica. Inoltre le persone che stanno male tendono a orientarsi verso forze politiche che sembrano dare una risposta semplice al disagio che una fetta crescente di popolazione manifesta. Non è questa, ovviamente, la soluzione perché i problemi sociali sono complessi e non si possono risolvere a botte di slogan.

In questo quadro come valuta la scelta referendaria della Cgil?

I quattro referendum sul lavoro vanno proprio nella direzione di una maggiore protezione del lavoro, del riconoscimento dei diritti di lavoratrici e lavoratori. Rispondono al malessere delle persone che hanno un lavoro povero, precario, insicuro dal punto di vista della salute. Credo, inoltre, che l’importanza di questa stagione referendaria stia non solo nel fatto che i singoli quesiti intervengono su norme da cambiare a favore della dignità del lavoro, che è sempre una cosa importante, ma soprattutto da un segnale positivo alla richiesta di maggiore attenzione al ruolo del lavoro nella società e del benessere, della vita delle persone. Insomma, sono convinta che i referendum vadano esattamente nella direzione di rafforzare il modello sociale europeo contro i tentativi di demolizione, che – oltre il merito dei singoli quesiti - diano una risposta positiva alla richiesta, meglio alla rivendicazione di un lavoro giusto, sicuro, dignitoso. Danno anche un messaggio a chi ci governa che ci si vuole opporre alla precarietà, e che si richiedono politiche che tutelino i lavoratori e le lavoratrici con al centro i diritti. Ovviamente è importante che ci sia una grande partecipazione, che affermi che l’opinione pubblica conta. Occorre riuscire a coinvolgere chi si sente escluso, ma in ogni caso sono fiduciosa: penso che saranno in tante e tanti ad andare a votare. E occorrerà riuscire a dare valore alla partecipazione di quanti si recheranno alle urne.

Cosa bisogna fare in Italia e in Europa per ridare sostanza e difendere il modello sociale di cui abbiamo parlato fino adesso?

Tornare a un'ottica collettiva, in una prospettiva collettiva. Dobbiamo uscire dalla prospettiva individualista, del sogno americano del self-made man o di anche da una retorica meritocratica per cui chi si dà da fare, chi si impegna ce la fa e vince. Dobbiamo uscire da quella che è una logica di competizione, di mercato, per entrare in una logica di collaborazione e di riconoscimento dell’altro. Dobbiamo sentirci persone, appunto, con una dignità umana, che vivono in un contesto che è quello europeo, ancora prima che quello italiano, e in questo riconoscerci come simili. Occorre quindi garantire a tutti e tutte i beni e servizi fondamentali di cui nessuno dovrebbe essere privato. Questa ottica collettiva è quella da cui bisogna partire.