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Prima storia
Succede questo: un ragazzo di 14 anni lamenta un forte mal di gola e ha la febbre alta, la madre chiama il pediatra che da sempre segue il figlio e scopre che è andato in pensione ma non ha un sostituto. Chiama il proprio medico di medicina generale pensando di poter iscrivere anche il ragazzo, visto che non è più un bambino, ma non ci riesce perché il dottore ha già pazienti in sovrannumero. Il figlio sta male e la donna non può far altro che rivolgersi a una struttura privata. Ed ecco descritta una delle vie della privatizzazione della sanità.
Seconda storia
Una medica di medicina generale nelle mattine e nei pomeriggi in cui non è studio va a domicilio dei pazienti, tutte le settimane, nonostante si muova solo con i mezzi pubblici e nella Capitale non brillino per efficienza. La figlia di una signora che la dottoressa segue dà per scontato che ogni visita domiciliare sia remunerata e le chiede se ci sono moduli da compilare per accertare la visita effettuata. La dottoressa le risponde che le pratiche burocratiche sono talmente onerose che per i 12 euro a visita non vale proprio la pena. Risultato: tutta l’assistenza domiciliare che la medica eroga è un regalo che fa ai propri assistiti. Sappiamo che non tutti i medici di medicina generale si comportano nello stesso modo, ma ecco spiegato perché in tanti non vanno a casa dei pazienti.
I numeri del disastro
Sono circa 40 mila i medici e le mediche di medicina generale in Italia, già troppo pochi sia per il numero di cittadini e cittadine assegnati a ciascuno di loro sia perché aumentando l’età media della popolazione aumentano i bisogni di assistenza.
Secondo gli ultimi dati dell'Istat, si contano solo 6,7 medici generici per 10 mila abitanti e rappresentano il 15,7 per cento dei medici totali. Circa il 77 per cento ha 55 anni e più, inoltre il loro numero è diminuito di oltre 6 mila unità in 10 anni, passando da 45.437 nel 2012 a 39.366 nel 2022.
Diminuiscono i medici, aumentano gli assistiti: si è passati da 1.156 per ciascun medico nel 2012 a 1.301 nel 2022. Ma queste sono solo medie, nella realtà in molti casi si è già superata la soglia di 1.500 assistiti per medico. Per di più, sono 11.439 i camici bianchi che nei prossimi due anni raggiungeranno l’età di 70 anni e quindi dovranno andare in pensione. Stiamo parlando di più di un quarto del personale in servizio.
Convenzione o dipendenza
Oggi il regime di collaborazione tra medici di medicina generale e Servizio sanitario nazionale è una convenzione tra libero professionista e Ssr: ci sono obblighi e nessuna tutela, né ferie, né malattia, né maternità; se il medico si assenta deve pagare di tasca propria un collega (se lo trova) perché lo studio non deve mai chiudere.
“I medici di medicina generale chiedono a maggioranza il contratto della dirigenza, a partire da chi verrà assunto nelle Case di comunità, contrari a ibridi contrattuali che peggiorano l’attuale organizzazione dell’assistenza territoriale da sempre inefficace per il rapporto di lavoro libero professionale che isola i professionisti dai servizi”, dichiara il Coordinamento nazionale Fp Cgil Medici di medicina generale.
Dipendenza
Questo è ciò che da tempo Fp Cgil e Cgil chiedono: ultimamente il ministro della Salute Schillaci si era detto favorevole, ma le proposte sul tappeto sono quasi peggiori del male. Aggiunge il Coordinamento: “Dopo le numerose dichiarazioni del ministro della Salute Schillaci a sostegno del passaggio al contratto della dirigenza anche per i medici di medicina generale, ci saremmo aspettati una proposta di legge seria e articolata per un’organizzazione integrata e multiprofessionale delle case di comunità che a tutt’oggi rimangono edifici vuoti e privi di personale”.
Sogno infranto
Deve essere una caratteristica del governo: si dicono cose, si fanno promesse, si prendono impegni e poi la realtà si rivela diversa. Schillaci non ha presentato alcuna proposta articolata su come ripensare il rapporto tra Ssn e medici di medicina generale. Anzi, rispondendo ai cronisti a margine dell’inaugurazione dell’anno accademico dell’Università Cattolica in merito all’ipotesi di dipendenza dei medici di base, il ministro ha detto: "Stiamo aspettando le proposte delle Regioni".
“Vai avanti tu che a me viene da ridere” era una vecchia battuta di un comico famoso, oggi si potrebbe tradurre: “vai avanti tu e vediamo l’effetto che fa”. E già perché mentre Schillaci aspetta le Regioni, alcuni parlamentari di maggioranza hanno presentato una proposta di legge inaccettabile.
“Dal cilindro – riprende il Coordinamento nazionale Fp Cgil Medici di medicina generale – spunta una proposta di legge a firma degli onorevoli Benigni, Cappellacci e Patriarca che, ricalcando proposte dei governi precedenti, in realtà propone un ibrido dell’attuale sistema, in cui i medici di medicina generale, peraltro gravemente sotto organico, dovranno fare le trottole tra studi convenzionati, domicilio dei pazienti e case di comunità, a detrimento dell’assistenza alle persone. Una proposta inaccettabile, costruita per salvare il rapporto libero professionale che, da un lato non dà risposte all’integrazione con il resto delle cure territoriali, dall'altro sta logorando i professionisti impegnati spesso per tante ore in attività che nulla hanno a che vedere con la cura ma con la burocrazia”.
Si può fare di più
In realtà si può e si deve fare di più e meglio. La ricetta è semplice: “È assolutamente necessaria una vera e propria riforma dell’assistenza territoriale, che dalla formazione al rapporto di lavoro equipari i medici di medicina generale ai colleghi della dirigenza per un sistema integrato, multiprofessionale, incentrato sui servizi per la presa in carico delle persone”.
Il Coordinamento, inoltre, rifiuta “con fermezza le operazioni di maquillage organizzativo che, con questa proposta di legge, frammentano e appesantiscono il lavoro dei professionisti solo per assecondare le resistenze al cambiamento che da sempre paralizzano il sistema, trincerandosi dietro il falso mito che solo il rapporto libero professionale, incentrato sulla frammentazione degli studi privati, possa garantire il rapporto fiduciario e la prossimità. Gli studi e i modelli internazionali li smentiscono”.
Serve cambiare
Cambiare è indispensabile, ma occorre sapere che anche in questo caso, come per ogni cambiamento, si tratta di far saltare rendite di posizione e centri di potere. “Serve coraggio per contrastare strutture di potere che impediscono il cambiamento, ma per salvare il Servizio sanitario nazionale è assolutamente necessaria una riforma dell’assistenza territoriale che superi le resistenze e gli interessi corporativi”, conclude la nota: “Noi chiediamo la riforma della formazione e il contratto della dirigenza anche per i medici di medicina generale, a partire dai neoassunti e dalle Case di comunità. Basta ibridi e false riforme”.