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Se avessimo la capacità di dare un volto ai numeri che l’Istituto nazionale di statistica elabora con inesorabile periodicità, forse le nostre reazioni sarebbero diverse. "Poco più di due milioni di famiglie, il 7,7% del totale e nel 2019 erano il 6,4%, sono in condizione di povertà assoluta”: dietro a questo ci sono donne e uomini, bambini e ragazzi, anziani e spesso persone molto fragili anche a causa delle privazioni. Sono cittadini e cittadine di diverse età, ma di diritti più scarsi degli altri. Sì, perché mangiare, abitare dignitosamente, potersi muovere e andare a scuola e curarsi quando serve sono diritti sanciti dalla nostra Costituzione. Ma per i volti dietro quei numeri non è così.
Oltre ai poveri assoluti, che nel corso dell’anno della pandemia sono aumentati assai, ci sono anche quelli in povertà relativa: certo, se la passano un po’ meglio degli altri, ma mica tanto. Sono tanti, tantissimi, sono altre 2,6 milioni di famiglie, l’11 per cento della popolazione. Una vera e propria emergenza sociale che il reddito di cittadinanza e quello di emergenza hanno solo mitigato: per fortuna questi strumenti c’erano e ancora ci sono. Perché i mesi di lockdown e di perdita di lavoro o di cassa integrazione sono stati terribili per molti, ma per alcuni di più.
I bambini e le bambine, prima di tutto. La povertà assoluta in Italia colpisce un milione e 337 mila minori (13,5%, rispetto al 9,4% degli individui a livello nazionale). L'incidenza varia dal 9,5% del Centro al 14,5% del Mezzogiorno. Rispetto al 2019 le condizioni dei minori peggiorano a livello nazionale (da 11,4% a 13,5%), in particolare al Nord (da 10,7% a 14,4%) e nel Centro (da 7,2% a 9,5%). Disaggregando per età, l'incidenza si conferma più elevata nelle classi 7-13 anni (14,2%) e 14-17 anni (13,9%, in aumento) rispetto alle classi 4-6 anni (12,8%) e 0-3 anni (12%, in crescita rispetto al 2019). Le famiglie con minori in povertà assoluta sono oltre 767 mila, con un'incidenza dell'11,9% (9,7% nel 2019). La maggiore criticità di queste famiglie emerge anche in termini di intensità della povertà, con un valore pari al 21,0% contro il 18,7% del dato generale.
E poi gli stranieri e le straniere: quelli in povertà assoluta sono oltre un milione e 500 mila, con un'incidenza pari al 29,3%, contro il 7,5% dei cittadini italiani. Le famiglie in povertà assoluta sono nel 71,7% dei casi famiglie di soli italiani (oltre un milione e 400 mila) e per il restante 28,3% famiglie con stranieri (oltre 568 mila), pur rappresentando queste ultime solo l'8,6% del totale delle famiglie. Per le famiglie con almeno uno straniero l'incidenza di povertà assoluta è pari al 25,3% (22% nel 2019); è al 26,7% per le famiglie composte esclusivamente da stranieri (24,4% nel 2019) e al 6,0% per le famiglie di soli italiani (dal 4,9% del 2019). La criticità per le famiglie con stranieri è più marcata nei Comuni fino a 50 mila.
Ma ci sono due dati, ancora, su cui riflettere per provare ad individuare il “che fare”. Il primo: nel 2020 l'incidenza delle famiglie in povertà assoluta si conferma più alta nel Mezzogiorno (9,4%, da 8,6%), ma la crescita più ampia si registra nel Nord dove la povertà familiare sale al 7,6% dal 5,8% del 2019. Tale dinamica fa sì che, se nel 2019 le famiglie povere del nostro Paese erano distribuite quasi in egual misura al Nord (43,4%) e nel Mezzogiorno (42,2%), nel 2020 arrivano al 47% al Nord contro il 38,6% del Mezzogiorno, con una differenza in valore assoluto di 167 mila famiglie.
Il secondo non riguarda la povertà ma il lavoro. È sempre l’Istat a certificarlo, nel corso dell’ultimo anno – a blocco dei licenziamenti in vigore - si sono persi oltre 900mila posti di lavoro. Molti nelle regioni settentrionali. Non sarà, allora, che tra l’aumento della povertà e l’aumento della disoccupazione esiste un legame diretto? Non sarà che il miglior antidoto all’impoverimento del Paese è la creazione di buona e dignitosa occupazione? Anche per questo il prossimo 26 giugno Cgil Cisl e Uil saranno in piazza: la miglior ricetta per ricostruire l’Italia è il lavoro.