Li abbiamo visti piantare le tende al Policlinico di Milano e alla Sapienza di Roma, accamparsi in tutte le città italiane fino a portare la loro protesta di fronte a Montecitorio. Gli studenti e le studentesse colpite nella propria vita universitaria dalla mancanza di alloggi che permettano loro di trasferirsi nelle città in cui ha sede la propria facoltà sono stati raccontati da un’indagine che Udu ha svolto in collaborazione con Cgil e Sunia.

Ciò che rischia di perdersi nella precisione dei numeri, però, è il significato concreto di questa problematica. Cosa significa essere uno dentro quel 41 per cento di giovani studenti che lamentano la mancanza di alloggi? Doversi trasferire senza avere una casa in cui abitare, perdere lezioni, ore di studio, per rispondere ad annunci e visitare case, valutare stanze, competere per la loro assegnazione con altri che si trovano nella stessa situazione. Significa imparare a riconoscere le truffe e finire per accontentarsi di sistemazioni fatiscenti a grandi distanze da dove si studia.

È questa l’esperienza, generalmente trascurata e minimizzata, di chi vede il proprio diritto allo studio ostacolato dalla mancanza di alloggi o di regolamentazione degli affitti. È questa l’esperienza di Magda, 22enne veronese, che, terminata la triennale a Trento, ha scelto Roma come sede dei suoi studi magistrali “perché è l’unica città in cui ho trovato una facoltà di progettazione sociale che non fosse finalizzata solo al servizio sociale”.

Quando sono iniziate le lezioni, il 18 settembre, Magda era lontana dal trovare un alloggio in affitto. Si è trasferita a Roma il 1° ottobre, ancora senza una casa o una stanza propria in cui poter abitare. Da allora dorme sul divano di alcuni amici, in una casa dove, senza di lei, vivono già sei persone, e le sue giornate trascorrono tra l’università e la ricerca di una sistemazione. Sempre con il telefono in mano per poter rispondere tempestivamente agli annunci, sempre in giro a visitare case.

“Questa situazione si ripercuote anche sullo studio, sulla mia capacità di concentrazione durante le lezioni”, spiega Magda: “Passo le giornate a guardare il telefono per rispondere subito agli annunci che compaiono sui vari gruppi Facebook. La richiesta di stanze e alloggi è talmente alta che la tempestività nella risposta è fondamentale, ma questo ovviamente mi causa stress. Devo andare sempre in giro per agenzie, il che interferisce con la mia frequenza. Poi se mi danno appuntamento per visitare delle case devo far incastrare i miei impegni con quelli di altri, quindi finisco per sacrificare l’università”.

Trovare una casa per i fuorisede non è mai stato un compito facile, ma la situazione nell’ultimo anno è diventata sempre più insostenibile. Anche perché la carenza si ripercuote su una serie di fattori, a cominciare dai prezzi. Una stanza singola può arrivare a costare 600 euro, e anche a voler fare dei sacrifici scegliendo una doppia, il risparmio è minimo dato che il loro prezzo attuale tocca in media i 400 euro.

L’importante è tenersi sempre all’erta durante la ricerca, per riconoscere le truffe che si confondono tra i tanti annunci sui gruppi social dedicati alla ricerca di case. “A volte quando rispondi a un annuncio – riprende Magda – e chiedi di vedere una casa il contatto ti risponde con una scusa per dirti che al momento non può, per esempio ti può dire che è in un’altra città, e ti chiede di versare soldi in anticipo per fermarla”.

Anche ricorrere alle agenzie non è più garanzia di affidabilità. Può succedere, per esempio, che alcune chiedano a chi si rivolge loro di versare un pagamento di 100 o 150 euro in anticipo sul servizio. Magda dice di non aver mai accettato di pagare, ma alcune sue conoscenti lo hanno fatto per scoprire, una volta avuto accesso ai loro database, che “non avevano case o stanze che corrispondessero alle loro esigenze. La maggior parte delle agenzie in realtà non ha disponibilità”.

Magda parla di sé con la consapevolezza di parlare per molti. Dice di non sentirsi l’eccezione e mette in fila una serie di esempi a suffragio di questa sua convinzione. “Tra i miei conoscenti, le persone che hanno un alloggio avevano cominciato a cercarlo a primavera”, spiega: “Un altro ragazzo che conosco ha trovato casa ora, ma è a due ore di tragitto da dove studia e non ha un contratto regolare. Altri miei compagni di facoltà hanno rimandato gli studi perché dicono che finché non hanno una casa non ha senso iscriversi, quindi intanto si dedicano alla ricerca e se non la trovano entro la sessione invernale posticiperanno di un anno l’iscrizione alla magistrale”.

Decidere dei propri studi sulla base di valutazioni non accademiche è una cosa che fanno sempre più giovani. Anche Magda, in questo suo primo mese nella Capitale, ha pensato di tornare a Verona e lasciare i suoi impegni universali irrisolti. Tiene duro perché “non sarebbe giusto per nessuno. Per me, per la mia famiglia. Il mio obiettivo è quello di studiare, quindi rimango”.

Non si muove, fedele al suo impegno di studio, ma il prezzo da pagare per lei e per gli altri giovani è alto. Nella fortuna di avere qualcuno che la può ospitare c’è tutto il disagio di chi vive in un’abitazione non sua. Senza chiavi di casa la giornata di Magda viene modellata sugli impegni delle persone con cui vive. Studiare poi è anche questione di spazio e la sua università, dice, ne avrebbe molto ma “io spesso non posso usufruirne data la mia situazione abitativa. Non posso rimanere troppo tempo in facoltà perché devo rientrare nel momento in cui qualcuno è a casa, non ho molta libertà nella gestione del mio tempo”.

Questa è la vita che si nasconde dietro i numeri, questa l’esperienza che stanno attraversando tantissimi universitari e, insieme, le loro famiglie, sempre più coinvolte nel problema soprattutto dal punto di vista economico. Impossibile ignorare il fatto che queste circostanze concorrono a intaccare in modo determinante il diritto allo studio.

Le soluzioni, quindi, devono arrivare e il punto di partenza deve essere l’ascolto. Quello che chiedono Magda e tutti i suoi coetanei è un po’ di controllo, perché “se ci fosse un minimo di attenzione, e un privato non potesse chiedere 700 euro per un letto su cui dormire, forse la vita degli studenti fuori sede sarebbe più semplice”. Poi c’è la vera soluzione, quella collettiva, che viene invocata protesta dopo protesta, manifestazione dopo manifestazione, incontro dopo incontro: la creazione di nuovi alloggi universitari.

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