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Riparte il negoziato tra sindacati e governo sulla riforma delle pensioni dopo l’interruzione obbligata dalla quarantena della ministra del Lavoro e del Welfare, Nunzia Catalfo. Si conferma lo schema di cui abbiamo già parlato su Collettiva:
Uno schema che prevede un percorso a due tappe per arrivare al superamento dell’attuale normativa. Nel primo step si affrontano le misure più urgenti da inserire nella legge di Bilancio 2021. Nel secondo si metteranno le basi per fissare le nuove regole per andare in pensione dopo il dicembre 2021, scadenza dell’esperimento di Quota 100. Per semplificare vi proponiamo una serie di voci/temi su cui si sta discutendo, un veloce glossario della trattativa.
Ape sociale e Opzione donna
Nella manovra autunnale il governo conferma la proroga, annunciata da tempo, di Ape sociale e Opzione donna. L’Ape sociale è un anticipo pensionistico nato come progetto sperimentale che consente l’uscita anticipata dal lavoro, senza alcun onere economico, a specifiche categorie di lavoratori che abbiano raggiunto almeno i 63 anni di età. La sperimentazione, la cui durata era stata inizialmente fissata fino al 31 dicembre 2018, è stata prorogata più volte. Hanno potuto richiedere l’Ape sociale varie categorie di lavoratori deboli. Tra questi i disoccupati involontari (licenziati) che abbiano esaurito integralmente la prestazione per disoccupazione o mobilità da almeno 3 mesi; i soggetti che assistano, al momento della richiesta e da almeno 6 mesi, il coniuge o un parente di primo grado convivente con handicap in situazione di gravità, gli invalidi civili con una invalidità superiore al 74% e gli addetti ad attività considerate gravose o usuranti.
Anche per la cosiddetta Opzione donna, trattamento pensionistico erogato, a domanda, alle lavoratrici dipendenti e autonome che, avendo maturato entro il 31 dicembre 2019 i requisiti previsti dalla legge, 35 anni di contributi e 57 o 58 anni di età, optano per il sistema di calcolo contributivo della pensione, potrebbe ora essere prorogata al 2021.
Ape sociale e 41 anni per lavoratori fragili
Dalle anticipazioni giornalistiche di questi ultimi giorni emerge l’intenzione del governo (sollecitato dai sindacati) di aprire un canale di uscita anticipata al raggiungimento dei requisiti dell’Ape sociale o dei 41 anni di contributi a prescindere dall'età anagrafica (la cosiddetta quota 41) non solo per i lavoratori "precoci" (ovvero quelli che hanno iniziato a lavorare molto presto), ma anche per quei lavoratori che saranno riconosciuti in condizione di fragilità (malati oncologici , cardiopatici, diabetici, ecc).
Pensioni da Covid
Un nuovo contratto di espansione e modifiche dell’isopensione, strumenti utilizzati per facilitare l’uscita di lavoratori vicini alla pensione in cambio di nuove assunzioni o a fronte di esuberi di personale. Queste sono le richieste sindacali. Si tratta di un accompagnamento alla pensione con uno strumento di flessibilità che garantisce a seguito di accordo sindacale (per riorganizzazione/ristrutturazione/crisi aziendale o per processi di ricambio generazionale) fino ad un massimo di 3/4 anni di anticipo, per la pensione di vecchiaia ordinaria(67), la pensione anticipata per uomini (42 anni e 10mesi) , mentre, per le donne (41 anni e 10 mesi). Per applicare questi strumenti si utilizzerebbe la Naspi, (per un massimo di 3 anni a seconda del diritto del lavoratore) e una integrazione a carico del datore di lavoro.
Separazione tra assistenza e previdenza
Spesa pensionistica e spesa per l’assistenza sociale non sono voci adeguatamente distinte nel Bilancio dello Stato. Questa impostazione fa sì che l’Italia risulti in Europa la più spendacciona in termini di pensione. In realtà i sindacati confederali fanno presente da anni che la spesa per pensioni in Italia si attesterebbe sulla media europea. Ci sono pareri contrastanti degli esperti su questa separazione. Il governo, su richiesta del sindacato, ha deciso di avviare una commissione di studio.
La pensione dopo Quota 100. Come si esce?
Sul Sole 24 ore di ieri (11 ottobre) Davide Colombo e Marco Rogari propongono un’anticipazione. L’idea, al momento, è quella di introdurre una flessibilità in uscita che garantisca un'uscita anticipata già a 62 o 63 anni, non troppo onerosa, ad alcune categorie di lavori, a partire da quelli "gravosi", alzando la soglia minima di accesso di un paio d'anni e accentuando la fisionomia "contributiva" dell'assegno per tutti gli altri lavoratori. Il principale scoglio da superare restano i costi dell'intervento. Anche perché nell'ultima NaDef, nota di aggiornamento al Documento di Economia e Finanza del Governo si sottolinea che il rapporto tra spesa pensionistica e Pil nel 2020 salirà al 17,1% e che alla fine del 2023 farà registrare un incremento dello 0,8% rispetto al 2019.
No a quota 102
Per evitare il famoso scalone che si determinerebbe nel gennaio del 2022 con la fine di Quota 100 circolano varie proposte. La ex ministra Elsa Fornero, tornata improvvisamente alla ribalta si è detta per esempio favorevole alla soluzione di Quota 102. Ma la Cgil è contraria. “Le ipotesi di riforma previdenziale che prevedono l’obbligo di avere un numero alto di contributi non possono essere accettate, come quella definita Quota 102, con 64 anni di età e 38 di contributi, ancor peggio se accompagnate dal ricalcolo contributivo di tutta la carriera lavorativa. Interventi simili non consentirebbero l’accesso alla pensione anticipata alla maggior parte delle persone, in particolare quelle più deboli sul mercato del lavoro, a partire da giovani e donne”. È quanto ha spiegato più volte il segretario confederale della Cgil Roberto Ghiselli a proposito delle proposte per sostituire Quota 100, sperimentazione che si concluderà al termine del 2021. “Qualunque ipotesi di uscita anticipata, che per noi deve essere possibile dai 62 anni deve vedere un requisito contributivo basso e deve valorizzare previdenzialmente i periodi di lavoro discontinuo, povero, gravoso o di cura”. Per Ghiselli “solo in questo modo si può parlare alla reale platea del mondo del lavoro, quella di oggi e ancor più quella di domani, oltre a garantire l’uscita con 41 anni di contributi a prescindere dall’età”.
Pensione di garanzia per i giovani
Se ne era cominciato a discutere ad inizio febbraio, con il primo incontro tra i sindacati e la ministra del Lavoro Nunzia Catalfo sul tema. Il governo ha preso un impegno politico in questa direzione, riconoscendo la proposta avanzata da Cgil, Cisl e Uil di istituire una pensione di garanzia. Lo scopo è quello di garantire una copertura previdenziale continua ai più giovani evitando che, tra carriere discontinue, salari bassi e periodi di disoccupazione, ci si possa trovare in futuro con assegni sotto la soglia di povertà. Un tema che, nel pieno della crisi occupazionale legata alla pandemia, potrebbe tornare di attualità. Considerato che, secondo l’Inps, i più colpiti dalla crisi occupazionale sono proprio giovani, precari e part-time.