PHOTO
La tutela individuale ai tempi del coronavirus diventa una delle partite più delicate da giocare. Lo sa bene l’Inca, il patronato della Cgil, che da settimane assiste i lavoratori che contraggono il covid. Per dare la giusta proporzione al fenomeno citiamo l’ultimo dato Inail, pubblicato questa settimana, dal quale si evince che, in un confronto che prende a riferimento marzo 2019 e il mese scorso, mentre i casi di infortunio sono diminuiti in conseguenza del lockdown, quelli in ambito sanitario e sociosanitario sono circa 28 mila in più. E le pratiche aperte dagli uffici Inca sono triplicate. Non è difficile intuire quale sia stato il peso della pandemia in questa impennata. Peccato che, a leggere la circolare numero 13 dell’istituto nazionale per l’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro, la presunzione semplice di origine professionale, quando si parla di contagio, riguarda “gli operatori sanitari esposti” e un numero ristretto di “altre attività lavorative che comportano il costante contatto con il pubblico/l’utenza.
In via esemplificativa, ma non esaustiva, si indicano: lavoratori che operano in front-office, alla cassa, addetti alle vendite/banconisti, personale non sanitario operante all’interno degli ospedali con mansioni tecniche, di supporto, di pulizie, operatori del trasporto infermi, etc”. Anche se questi esempi non esauriscono l’ambito di intervento, Silvino Candeloro, del collegio di presidenza dell’Inca, ci spiega che “sono ancora troppi i casi e le situazioni in cui l’Inail tratta il contagio come un rischio generico. In pratica, visto che il rischio riguarda tutta la popolazione, per alcuni lavoratori non viene considerato come specifico. Casi nei quali spesso viene respinta la richiesta di infortunio. Di fronte a questa posizione, noi chiediamo che l’onere della prova non sia solo a carico del lavoratore, ma sia anche a carico dell’Inail. E quindi invitiamo tutti i lavoratori che contraggono il covid a fare denuncia, rivolgendosi ai nostri uffici che offriranno loro tutto il supporto medico legale. E di fronte a denunce respinte dall’Inail, la nostra linea è quella di fare ricorso e valutare anche se andare in giudizio e aprire un contenzioso”.
A tal fine il patronato della Cgil in queste settimane è impegnato anche a valutare le misure comprese nei decreti e nei protocolli firmati dalle parti sociali. “Li studiamo attentamente – dichiara Silvino Candeloro – e chiediamo che, in base a questi testi, vengano aggiornati i documenti di valutazione dei rischi all’interno dei luoghi di lavoro. Un atto dovuto se si leggono con attenzione le previsioni del decreto 81 che, a fronte di una situazione dal punto di vista organizzativo diversa da quella precedente, dovrebbe portare, da parte del datore di lavoro, ad aggiornare il dvr. Siamo di fronte a una pandemia che in molti luoghi di lavoro rimasti aperti ha portato a dei sostanziali correttivi nell’orario di lavoro, nelle modalità di ingresso e nell’utilizzo dei dispositivi di protezione individuale specifici: il dvr deve essere automaticamente aggiornato. E invece incontriamo resistenze in molti datori di lavoro”. Ma perché è così importante? “Perché se il rischio risultasse dal dvr, andrebbe considerato in maniera diversa e non più come generico. Basterebbe una piccola modifica al decreto 81”.
Una battaglia difficile e importante, che riguarda la dignità e i diritti di tutti coloro che, in queste condizioni drammatiche, continuano a recarsi sul posto di lavoro. L’Inca Cgil c’è e, anche in tempi di coronavirus, continua a svolgere la sua funzione essenziale di presidio di prossimità.