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Questa volta è davvero difficile confutare i dati visto che a renderli ufficiali è l’Istat, dal 2021 al 2022 è cresciuta la povertà assoluta. Sono aumentate le famiglie povere diventate il 2,18 milioni, arrivando l’8,3% del totale (erano il 7,7%) e sono aumentati i cittadini e le cittadine superando quota 5,6 milioni arrivando al 9,7% della popolazione (era il 9,1%). Perché un aumento così rilevante? In gran parte, sempre secondo l’Istituto nazionale di statistiche, la colpa è dell’inflazione.
Cause e responsabilità
Dice il Rapporto: “In larga misura l’aumento della povertà è imputabile alla forte accelerazione dell’inflazione registrata nel 2022 il cui impatto è risultato particolarmente elevato per le famiglie meno abbienti”. È bene ricordare che, come più volte sottolineato anche dalla Banca europea, quella attuale è determinata dall’aumento dei prezzi e dei profitti, mentre salari e pensioni in Italia sono rimasti uguali. Il commento della Cgil, allora, è inevitabile. Afferma infatti la segretaria confederale Daniela Barbaresi: “I dati diffusi oggi dall’Istat sulla povertà nel nostro Paese sono drammatici e confermano quanto le scelte del governo siano state e continuino a essere crudeli e sbagliate”.
Chi sono i poveri
Bambini e bambine, innanzitutto: sono infatti ben 1 milione e 269 mila i minori sotto la soglia della povertà assoluta; al Centro stanno peggio quelli tra 4 e 7 anni, al Sud quelli tra i 7 e i 13. Si legge nel Rapporto: “Il disagio più marcato si osserva tra le famiglie con tre o più figli minori, l’incidenza arriva 22,3%”.
Ma non se la passano bene neanche le famiglie con all’interno almeno uno straniero, l’incidenza della povertà tra queste è pari al 28,9% mentre per quelle composte solo da italiani l’incidenza è del 6,4%. E poi sono più poveri e più a rischio quanti vivono nelle regioni meridionali, il loro numero è aumentato di quasi un punto percentuale rispetto al 2021. Ancora, vivere in affitto rende più esposti al bisogno, sono oltre 983 mila le famiglie povere in questa condizione abitativa e oltre il 45% delle famiglie povere non possiede un’abitazione.
Istruzione e lavoro
Un alto titolo di studio e una buona occupazione rappresentano un antidoto all’impoverimento. Attesta infatti l’Istat infatti che l’incidenza della povertà diminuisce con il crescere della scolarità della persona di riferimento. Altro deterrente è anche una buona occupazione, perché se il “capofamiglia” è operaio o simili, l’incidenza della povertà sfiora il 15%. Domanda: cosa sta facendo il governo per contrastare lavoro povero e precarietà? E sarebbe anche utile inviare una tabellina riepilogativa di questi dati al Cnel, che forse potrebbe rivedere la propria posizione sull’inutilità del salario minimo legale.
Una manovra debole
I poveri aumentano, anche tra i lavoratori ma dalle parti di Palazzo Chigi si continua a pensare che la colpa sia loro visto che, abolito il reddito di cittadinanza, nulla si sa dei corsi di formazione previsti né dei tantissimi posti di lavoro che avrebbero aperto le loro porte ai cosiddetti occupabili che tali, evidentemente, non sono.
La legge di bilancio taglia risorse a welfare, istruzione e sanità, e così per molti povertà vuole anche dire dispersione scolastica e poca salute, con un avvitamento nefasto che rende quasi impossibile uscire da una condizione di disagio. Afferma a tal proposito Barbaresi: “Inflazione e rincari, soprattutto dei beni di prima necessità, alimentari e utenze, hanno aggravato ulteriormente le sempre più insostenibili condizioni economiche di troppe famiglie e non sono certamente i pochi euro della Carta acquisti in grado di affrontare una condizione diffusa e complessa come quella della povertà che richiede interventi e politiche ben diverse”.
La strada maestra esiste
“I dati confermano che si è poveri pur lavorando quando le condizioni retributive e di lavoro sono inadeguate, ma il governo si oppone vigliaccamente a salario minimo e legge sulla rappresentanza”, aggiunge la sindacalista. Che sottolinea: “Si è più poveri se si vive in affitto, ma il governo ha azzerato i fondi per gli affitti e per la morosità incolpevole e non investe nell’edilizia pubblica. Si è più poveri nel Mezzogiorno ma il progetto del governo è quello dell’autonomia differenziata destinato inesorabilmente ad aggravarle".
"Di fronte a questo scenario critico – osserva la segretaria confederale –, in Italia, con ben 5,6 milioni di persone in condizioni di povertà assoluta e 15 milioni a rischio di esclusione sociale, il governo ha scelto di cancellare il reddito di cittadinanza, strumento universale di contrasto alla povertà, introducendo nuove misure e dividendo la platea delle persone in condizioni di difficoltà, tra coloro che possono accedere a un sostegno economico e coloro che ne sono escluse a prescindere dalle loro reali condizioni di bisogno”.
Cambiare la legge di bilancio
Il tempo delle parole vuote e della mistificazione della realtà è finito davvero. È invece quello della mobilitazione per far cambiare la manovra e chiedere al governo di assumere la responsabilità che gli compete rispetto alla parte più fragile del Paese. Sottolinea Barbaresi: “Un Paese che voglia dirsi civile deve rimuovere le cause che generano povertà, emarginazione, diseguaglianze, indicatori di arretratezza e ingiustizia, come prevede la Costituzione. Invece il governo cerca consenso proprio sulla povertà, sull’intolleranza, sull’odio e colpevolizza i più deboli”.
E allora la ricetta è semplice, è quella che da tempo indica la Cgil: “È necessario che, a partire dalla legge di Bilancio, venga ripristinato uno strumento di contrasto alla povertà e di sostegno al reddito che abbia carattere universale e venga fatto un forte investimento nell’infrastrutturazione sociale per rispondere ai molteplici bisogni delle persone in condizioni di difficoltà e disagio (economico, abitativo, educativo, sociale, assistenziale ecc.), per garantire loro una vera presa in carico con servizi pubblici e sostegni”.