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Sembra quasi una puntina che si impunta su un vecchio vinile, è il ritornello che Meloni ripete ormai stancamente, condendolo di volta in volta a seconda della platea cui si rivolge. Da ultimo, la platea è quella offerta dalla Cisl e allora ecco la salsa scelta per l’occasione: “La denatalità è un danno al lavoro e all’economia”. Vero, anche se la questione, certamente rilevantissima, non dovrebbe essere affrontata a partire dalle conseguenze della diminuzione delle nascite. Sarebbe opportuno, invece, partire dalle cause, dal perché ogni anno il numero dei nuovi nati diminuisce. Suggerimento per la presidente del Consiglio: leggere con attenzione il rapporto sull’Analisi dell’evento nascite 2023 appena pubblicato dal ministero della Salute del governo da lei presieduto.
I dati
Sono davvero tanti e si riferiscono al 2023. Partiamo dall’inizio. I bimbi e le bimbe nate sono 379.890, 13mila in meno rispetto al 2022 (-3,4%). Per ogni 1.000 residenti in Italia sono nati poco più di sei bambini, e a dirlo è l’Istat. Ma dove sono nati? Secondo il dossier del ministero della Salute, “il 90,1% dei parti nel 2023 è avvenuto negli Istituti di cura pubblici ed equiparati, il 9,8% nelle case di cura e solo lo 0,13% altrove (altra struttura di assistenza, domicilio, etc.). Il 61,7% dei parti si svolge in strutture dove avvengono almeno 1.000 parti annui”. E già qui troviamo una buona notizia, cioè le donne si fidano e si affidano al Servizio sanitario nazionale. Al pubblico. quindi, nonostante definanziamenti e carenza di personale.
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Nascere è un fatto naturale
E su questo non vi è dubbio, troppo spesso però viene eccessivamente medicalizzato. Probabilmente una delle ragioni è anche l’età media delle madri “alta” secondo i ginecologici. Si legge infatti che l’età media della partoriente è di 33,2 anni per le italiane, mentre scende a 31,2 anni per le cittadine straniere. Scopriremo però che questo innalzarsi dell’età della scelta di diventare mamma ha una ragione precisa. In ogni caso tante sono le pratiche mediche e diagnostiche a cui si sottopongono o vengono sottoposte le donne. “Nel 92,9% delle gravidanze il numero di visite ostetriche effettuate è superiore a 4 mentre nel 76,7% delle gravidanze si effettuano più di 3 ecografie”.
Medicalizzarlo no
È la segretaria nazionale della Cgil Daniela Barbaresi a leggere in controluce i dati del ministero e a riflettere: “Emergono alcuni aspetti critici che meritano particolare attenzione. Innanzitutto una tendenza alla progressiva medicalizzazione della gravidanza. Basti pensare all’ampio ricorso a ecografie, quasi il doppio di quelle raccomandate dai protocolli”. E per di più è lo stesso rapporto a mettere in evidenza la seconda criticità: “Si conferma il ricorso eccessivo all’espletamento del parto per via chirurgica. In media, nel 2023 il 30,3% dei parti è avvenuto con taglio cesareo, con notevoli differenze regionali che comunque evidenziano che in Italia vi è un ricorso eccessivo all’espletamento del parto per via chirurgica”. E il commento di Barbaresi è netto: “Vi è poi, un eccessivo ricorso al taglio cesareo, soprattutto nelle strutture private (sarebbe necessario aprire anche qui una riflessione seria sui rapporti pubblico/privato, sul sistema dei pagamenti-Drg, che, in alcuni casi, potrebbe spingere alla scelta più vantaggiosa economicamente anziché più giusta) che colloca l’Italia ai primi posti in Europa con i cesarei che rappresentano un terzo dei parti, con picchi che arrivano al 45%, con evidenti condizioni di inappropriatezza”.
Chi sono le donne che diventano madri
Qui viene il bello, e sarebbe opportuno che Meloni prima di fare affermazioni su natalità e denatalità, prima di “suggerire” che il ruolo di madre sovrasta o dovrebbe farlo tutti gli altri, leggesse il rapporto. Se lo avesse fatto, avrebbe scoperto che le donne che scelgono di diventare madri sono al 60,1% lavoratrici, solo il 23,7% di quante hanno partorito nel 2023 sono casalinghe. Allora il messaggio è chiaro: si sceglie se diventare madre solo quando si ha un lavoro e magari anche stabile. E così si svela la ragione dell’età media delle partorienti, prima di trovare lavoro – magari anche sufficientemente stabile – passano anni, soprattutto perché i lavori che le ragazze trovano sono precari e poco pagati. E allora il referendum della Cgil che mira a ridurre la precarietà dovrebbe essere condiviso proprio da chi sostiene che occorra invertire la curva della denatalità.
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La chiave è il lavoro
Possibilmente stabile e dignitoso. A tal proposito dice Lara Ghiglione, segretaria nazionale della Cgil: “Il rapporto dimostra, con numeri concreti e oggettivi, che l’occupazione, soprattutto se stabile e adeguatamente retribuita, è il vero criterio che le donne italiane utilizzano per compiere la scelta su quando e sul “se” diventare madri”. Il messaggio allora all’inquilina di Palazzo Chigi e inevitabile, quasi ovvio. Afferma la dirigente sindacale: “La stabilità economica delle famiglie, e la possibilità di poter usufruire di servizi pubblici a sostegno della genitorialità, sono infatti elementi prioritari per questa importante decisione. La Cgil lo evidenzia da tempo ma, nonostante questo, il Governo Meloni, anziché investire sul lavoro di qualità delle donne e sul welfare pubblico, pensa di risolvere il problema dell’inverno demografico con inutili bonus e con la sua retorica sulla maternità che colpevolizza le donne”.
Partorire in sicurezza
Il Rapporto mette in evidenza un altro dato che merita attenzione: il 61,7% dei parti si svolge in strutture dove avvengono almeno mille parti annui. Mentre il 38% dei parti avviene in strutture con meno di mille parti l’anno, in 96 delle quali non si raggiungono neanche 500 parti, strutture dove spesso non ci sono né neonatologia né le terapie intensive neonatali, inidonee a garantire standard adeguati di sicurezza per la madre e il nascituro. Sottolinea a tal proposito Barbaresi: “Va evidenziato il problema dell’elevato numero di punti nascita a basso volume di attività. Occorre ricordare che già nel 2010 le ‘Linee di indirizzo per la qualità e sicurezza nel percorso nascita’ indicavano che la massima sicurezza per mamme e neonati si ha nei centri con oltre mille parti l’anno, prevedendo la razionalizzazione/riduzione progressiva dei punti nascita con numero di parti inferiore, e in particolare la chiusura di quelli con meno di 500 parti l’anno, a tutt'oggi disapplicata”.
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I consultori
La legge prevede vi sia un consultorio ogni 20mila abitanti, nella realtà sono uno ogni 35mila, il loro compito è o sarebbe proprio quello di occuparsi della salute della donna, di accompagnarla nei mesi della gravidanza e poi affiancarla nelle prime settimane di vita del bimbo o della bimba. Ma sono appunto pochi. È ancora Barbaresi a sottolineare: “Fondamentale poi il ruolo dei consultori per i corsi di accompagnamento alla nascita, l’assistenza al puerperio, l'allattamento al seno. Consultori che però sono pochi, privi di risorse economiche e del personale necessario, oltreché delle équipe multidisciplinari”.
Servono i referendum
Infine un ultimo numero, anch’esso assai significativo e “pieno” di messaggi indirizzati a ministre e presidente del Consiglio. “Nel 2023, circa il 20,1% dei parti è relativo a madri di cittadinanza non italiana”, tradotto significa che oltre il 20% dei bimbi e delle bimbe nate in Italia nel 2023 non sono cittadini e cittadine italiane. Dice in conclusione Ghiglione: “Anche per queste ragioni è fondamentale sostenere i referendum sul lavoro e quello sulla cittadinanza; considerando, infatti, che il 20,1% delle neo madri sono straniere è importante che possano richiedere la cittadinanza italiana per sé stesse e per le figlie e i figli minorenni, per conferire loro diritti e dignità, per la crescita del Paese e per salvaguardare gli equilibri demografici a partire dalla tenuta del nostro sistema previdenziale a ripartizione”.