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È da oltre un anno che la Cgil lancia l’allarme sullo stato del Ssn. In occasione dell’ultima legge di Bilancio avanzò richieste precise per implementare davvero il Fondo sanitario, per rilanciare la rete ospedaliera e la medicina territoriale, per una reale integrazione tra sanità e sociale. Sembra che il governo non abbia nemmeno letto quelle richieste. Oggi all’appello del sindacato si uniscono la Corte dei Conti, le Regioni, 14 scienziati, e potremmo continuare. Ma la condizione della sanità italiana è sempre più precaria e insufficiente, e l’Italia si allontana sempre più dall’Europa in spesa per la salute di cittadini e cittadine. Facciamo il punto con Daniela Barbaresi, segretaria confederale della Cgil.
L’Italia è diventato il Paese delle diseguaglianze tra Nord e Sud, tra aree interne e città; tra ricchi e i sempre più numerosi poveri; tra quanti riescono, magari con sacrificio a curarsi e chi vi rinuncia perché non ha risorse per farlo; lo stato del Ssn, invece che ridurle sembra acuire le diseguaglianza tradendo così le promesse della Legge del 1978. È davvero così?
Purtroppo si. Se apriamo la Costituzione leggiamo che compito dello Stato dovrebbe essere proprio quello di rimuovere le diseguaglianze tra i cittadini tra i territori, il governo, invece, va nella direzione esattamente opposta a partire dalle scelte sull'autonomia differenziata, così come sulle scelte di carattere più complessivo ed economico a partire da come non finanzia adeguatamente il Servizio sanitario nazionale. La legge 833 del 78, quella che istituì il Ssn, non ci è stata regalata, è stata il frutto anche delle mobilitazioni e delle lotte dei lavoratori, delle cittadine e dei cittadini, del mondo del lavoro, della società civile, è stata una conquista che ha consentito di liberare la sanità italiana dalla gabbia delle mutue che certificavano le diseguaglianze tra persone in base alla loro condizione lavorativa. Oggi rischiamo di ritornare sempre più in quella condizione ed è impressionante che oltre alla divisione tra ricchi e poveri, c'è una preoccupazione sempre crescente di impoverirsi nel momento in cui ci si trova a misurarsi con un problema di salute. Questa è una profonda ingiustizia, il diritto alla salute dovrebbe essere garantito a tutti e non solo a coloro che possono permettersi di pagare visite, esami e prestazioni.
I dati che illustrano questo fenomeno sono davvero allarmanti
La spesa privata sostenuta dalle famiglie ogni anno ammonta a 42 miliardi e sono 4 milioni i cittadini e le cittadine che rinunciano a curarsi per mancanza di risorse economiche e per mancanza di risposte di servizi da parte del sistema pubblico. E a leggere con attenzione il Rapporto Bes pubblicato il 17 aprile, si scopre che nel 2023 sono aumentate le persone che non riescono a curarsi arrivando al 7,6% della popolazione (nel 2022 erano il 7,1%) e tornando al tema delle diseguaglianze si registra un aumento dell’emigrazione sanitaria e una diminuzione della speranza di vita in buona salute. La verità è che si sta negando il diritto alla salute e questo avviene mentre i ministri Schillaci e Calderone sbandierano interventi straordinari e la presidente del Consiglio Meloni elogia investimenti e politiche sanitarie straordinarie. La verità è che il governo è lontanissimo dalla realtà. Osservando i dati dell'Istituto di statistica è evidente che i casi sono due, o l’Esecutivo mente sugli investimenti e spende male le risorse pubbliche, visto il peggioramento delle condizioni delle persone, o mente ed è anche incapace di adottare politiche utili a contrastare povertà e garantire il diritto alla salute. In entrambi i casi siamo di fronte a un governo arrogante e incapace.
C'è poi il tema delle diseguaglianze tra il personale: molti poco pagati e ormai stremati, pochi - ma in aumento - che fuggendo dal servizio pubblico guadagnano di più e hanno una qualità della vita professionale dignitosa.
Quello della fuga, verso il privato e fuori dall’Italia, è fenomeno recente, sono operatori e operatrici che cercano una valorizzazione professionale ma questo indebolisce ulteriormente il sistema e disperde l’investimento che il sistema Paese ha fatto per la loro formazione. Ma è la conseguenza della condizione drammatica nella quale si sono trovati a lavorare i professionisti della sanità dopo la pandemia. Ci sono anche errori nella programmazione della formazione del personale sanitario che non è facile risolvere. Serve un forte investimento di carattere economico per il personale. Lo dico diversamente, se non si valorizzano professionalmente a partire dalla valorizzazione economica diventa complicato affermare che sono preziosi: serve coerenza. Nell’ultima legge di Bilancio sono state stanziate risorse neanche lontanamente adeguate al rinnovo del contratto.
Il nodo degli operatori e delle operatrici sanitarie è centrale, sono pochi e saranno sempre meno visto che nei prossimi tre anni in moltissimi andranno in pensione, e già mancano circa 30 mila medici e 70 mila infermieri. Come si esce da questa sorta di tempesta perfetta?
È sorprendente che il ministro Schillaci si meravigli che il privato riesce a trovare personale e il pubblico, quando ci prova, no. Ripeto, se non fai neanche il minimo indispensabile a partire dal garantire risorse adeguate per i rinnovi contrattuali di cosa ci si meraviglia? La legge di Bilancio non prevede neanche la copertura della perdita di potere di acquisto per l’inflazione. Non ci sono risorse adeguate per i rinnovi contrattuali, non si prevedono risorse adeguate per un piano straordinario di stabilizzazione e di assunzione a partire da quelle che servono per dare attuazione alla riforma dell'assistenza territoriale. Il nodo è sempre questo: servono risorse per assumere, valorizzare le competenze e formare nuovi professionisti. Abbiamo il numero di infermieri in rapporto alla popolazione più basso d’Europa e non va meglio per i medici. Occorre mettersi intorno a un tavolo per provare ad affrontare il problema, ma dalle parti di Palazzo Chigi e del ministero della Salute non vi è nessuna disponibilità a farlo.
Continuiamo con l’amaro gioco delle diseguaglianze. Esistono grandi differenze di aspettativa di vita tra regioni, cosa succederà con l'autonomia differenziata?
Tra un cittadino che abita in Trentino e uno che abita in Campania esiste una differenza di aspettativa di vita superiore a 3 anni e questa differenza è ben maggiore se si osserva la speranze di vita in buona salute: tra chi vive a Bolzano e chi in Calabria arriva a 16 anni, è inaccettabile. Con l'autonomia differenziata queste diseguaglianze sono destinate ad aggravarsi ulteriormente e a diventare irreversibili, così come aumenterebbe la già elevatissima mobilità tra una regione e l’altra alla ricerca di prestazioni che in alcune aree non sono garantire.
Certo i tagli alla sanità pubblica non sono di oggi, ma davvero come dice Meloni il suo è il governo che spende di più per la sanità?
Il governo è bravissimo a fare propaganda ma sono affermazioni che non corrispondono minimamente alla realtà. Continua a parlare di spesa sanitaria in valore assoluto ma è un modo per confondere. Non è un caso che in Europa la spesa sanitaria viene calcolata in rapporto al Pil, se assumiamo questo metro di misura è palese la diminuzione decisa dal governo nell’ultima legge di Bilancio e - attraverso il Def appena varato – programmata per i prossimi anni, mentre negli altri Paesi non solo è molto più alta ma in crescita. Il Def 2024 è un documento a scatola chiusa, non sappiamo cosa contiene ma sulla sanità il quadro è già sufficientemente preoccupante, dal prossimo anno la spesa sanitaria diminuisce passando dal 6,4% del Pil di quest'anno al 6,3 per arrivare fino al 6,2% nel 2026, livello assolutamente drammatico, il più basso che abbiamo mai registrato. Si diminuiscono ulteriormente le risorse mentre aumentano i bisogni di salute. Voglio solo ricordare la spesa pro capite per la sanità in Germania è doppia rispetto alla nostra, e quasi il doppio in Francia e Gran Bretagna. Di miliardi in più per rilanciare il Ssn noi ne chiediamo 30-35 ma i tedeschi ne spendono 80 l’anno più di noi. E se non si vuole ascoltare il sindacato, almeno bisognerebbe rispondere all’appello che 14 scienziati hanno lanciato per la difesa e il rilancio della sanità pubblica.
L’altro ieri il governo ha posto la fiducia sull'ultimo decreto Pnrr, in quel testo c’è la conferma del taglio di ulteriori 1,2 miliardi alle strutture ospedaliere nonostante la rivolta delle Regioni, e il tradimento delle promesse del Pnrr su sanità di territorio e assistenza domiciliare, visto che vengono confermati i tagli previsti dalla rimodulazione del piano.
Ho trovato molto significativa la presa di posizione delle Regioni. Hanno addirittura minacciato di ricorrere alla Corte Costituzionale denunciando che il re è nudo cioè che le risorse alla sanità non solo non sono aumentate ma vengono tagliate. Così come, non solo si sono ridotte case e ospedali di comunità, ma se non si stanziano risorse aggiuntive per l’assunzione del personale, la sanità territoriale rimarrà una promessa. E sarebbe davvero meglio che invece di aprire ai movimenti pro life nei consultori, il governo desse piena attuazione alle Legge 194 rafforzandone la rete e consentendo a ogni donna di trovare servizi aperti ed efficienti. La prospettiva è quella di un ulteriore privatizzazione della sanità e quindi di ulteriori diseguaglianze.
E allora sabato di nuovo in Piazza insieme alla Uil e poi?
Sabato prossimo saremo nuovamente in piazza, con una grande manifestazione nazionale per la difesa e il rafforzamento della sanità pubblica, per la tutela dei salari e per una riforma fiscale, interventi, questi sì, necessari a migliorare la vita dei cittadini e delle cittadine del nostro Paese. Poi noi andremo avanti. Stiamo lavorando anche a una proposta di legge di iniziativa popolare, strumento utile anche a costruire un processo di partecipazione su un tema fondamentale. Insomma stiamo dando vita a un percorso più complessivo che vede la Cgil protagonista, assieme alle associazioni, ai professionisti, ai cittadini per difendere e rilanciare il Servizio sanitario nazionale pubblico e universale, in grado di garantire salute, non solo curare le malattie.