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Il governo di Javier Milei ha pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale un documento dove si definisce le persone con disabilità cognitive come “ritardati”, includendo all'interno di questa categoria le classificazioni di “idiota”, “imbecille” e “mentalmente debole”.
Il cambiamento è arrivato tramite un decreto che riguarda l'Andis, l’Agenzia nazionale della disabilità. Con questa risoluzione, il Governo ha cambiato una serie di procedure riguardanti i criteri per la pensione di invalidità. Tra i cambiamenti c'è stato anche quello dei termini utilizzati, tornando a un modello antiquato che l'Argentina aveva abbandonato da anni, ma che oggi, grazie ad un Governo “anti-inclusione” sono ritornati.
È poi vero che l’Andis ha comunicato che modificherà definitivamente la risoluzione 187, pubblicata in Gazzetta Ufficiale il 16 gennaio scorso. Andis ha chiarito che la pubblicazione di questi termini è stata un errore e ha negato che vi fosse alcun intento discriminatorio.
Resta il fatto che il Governo argentino ha cercato di vietare nella pubblica amministrazione l’uso di qualsiasi linguaggio inclusivo, non solo nei confronti delle persone con disabilità.
Ma forse a qualcuno è sfuggito che nel 2006 è stata approvata la Convenzione Onu sui diritti delle persone con disabilità, che testualmente enuncia nel preambolo: “La disabilità è il risultato dell’interazione tra persone con menomazioni e barriere comportamentali e ambientali che impediscono la loro piena ed effettiva partecipazione alla società su base di uguaglianza con gli altri”.
La Convenzione ha uno scopo preciso: “Promuovere, proteggere e garantire il pieno ed eguale godimento di tutti i diritti umani e di tutte le libertà fondamentali da parte delle persone con disabilità, e promuovere il rispetto per la loro intrinseca dignità”, andando quindi oltre una prospettiva meramente sanitario‐assistenziale.
Sarebbe necessario far pervenire una copia della Convenzione Onu al Presidente Milei.
A livello internazionale, nel corso degli anni, si sono fatti molti passi avanti sul tema dell’inclusione e dei diritti, grazie anche alle lotte delle persone con disabilità e delle loro famiglie. E se davvero “le parole contano e influenzano la realtà”, citando la sociolinguista Vera Gheno, allora usare dei termini adeguati è la base di partenza per una vera inclusione.
Le parole sono importanti e hanno un peso perché anche attraverso il linguaggio si tende a sdoganare scelte e comportamenti inaccettabili, pericolosi, violenti che incidono sulla cultura e sulle relazioni sociali. Una normalizzazione che va respinta.
Le terminologie usate oggi dal governo Milei sono piene di odio e violenza, nonché di volgarità, capaci solamente di aumentare le diseguaglianze, impedendo parità e inclusione. Non si torna solo ad un modello medico di definizione di disabilità, ma si arriva ad un modello discriminatorio e oltraggioso.
Un ritorno al passato, che non può non indignarci, ma anche spaventarci. Conosciamo tutti la storia, sappiamo benissimo come l’odio ed il disprezzo possano portare all’emarginazione e alla violenza.
Tutti noi dobbiamo far sentire la nostra voce ed esprimere contrarietà per quanto sta accadendo.
In Italia, con la Legge 3 marzo 2009, n. 18, il Parlamento ha autorizzato la ratifica della Convenzione delle ONU sui diritti delle persone con disabilità In Italia, e in ottemperanza a questo documento oggi sono sparite parole come handicappato o disabile, al loro posto dobbiamo parlare solamente di “persona con disabilità”, con un solo intento: la “persona” deve essere sempre al centro.
È inaccettabile che oggi ci siano o si tentino passi indietro a livello internazionale.
Bisogna combattere con forza ogni ritorno al passato, ogni accenno di violenza, difendendo la dignità umana, combattendo per una vera e piena inclusione delle persone con disabilità e delle fasce più deboli e fragili della popolazione.
Valerio Serino, responsabile Cgil dell’ufficio Politiche per il lavoro e l’inclusione delle persone con disabilità