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La famiglia, rigorosamente al singolare, è uno dei capisaldi del programma politico di Fratelli d’Italia e del Centrodestra al governo. Ma a leggere la manovra di Bilancio all’esame del Parlamento più di un dubbio sulla coerenza tra quanto promesso e quanto realizzato è inevitabile.
Bonus e contributi una tantum
La logica è sempre la stessa, quella che attraversa tutto il provvedimento, non un cambio di politiche ma bonus e una tantum sui quali si può contare al massimo per il 2024. Davvero poco incentivante per chi dovesse valutare di mettere al mondo un figlio. Così come solo per un anno è finanziato il taglio del cuneo fiscale per i lavoratori e le lavoratrici dipendenti che forse dal 2025 vedranno diminuire la propria busta paga.
Le donne non esistono
Secondo la presidente del consiglio le donne esistono solo in quanto madri. Nulla in manovra, infatti, è stato scritto per incentivare l’occupazione femminile, anzi i provvedimenti previsti dal Pnrr, come una riserva di posti per le donne creati dal Piano europeo, sono stati depotenziati fino a non essere attuati, e gli interventi scritti in legge di bilancio riguardano solo le madri lavoratrici. Dice Lara Ghiglione, segretaria nazionale della Cgil: “Nella legge di bilancio scompaiono le donne in quanto tali a favore delle madri e la genitorialità viene soppiantata dalla maternità, a conferma di altri provvedimenti del Governo che vanno in questa direzione; uno su tutti il codice di autodisciplina delle aziende responsabili. Nessun provvedimento che potrebbe davvero dare una risposta efficace ai gravi divari occupazionali e salariali che colpiscono le donne, come potrebbe essere investire sul lavoro stabile ed equamente retribuito, lo stesso dicasi per i servizi pubblici”. E se non è cultura patriarcale questa ci domandiamo cosa sia.
I nidi
Passiamo dalle donne alla famiglia e le cose non cambiano. Nella conferenza stampa di presentazione della manovra Meloni sottolineò con forza quanto previsto per bimbi e bimbe, peccato che così come per la sanità, quanto raccontato corrisponda solo parzialmente alla realtà. La norma, peraltro non emendabile dal Parlamento, prevede infatti un incremento del contributo nidi di 2.100 euro annui da corrispondere a famiglie con almeno 2 figli, di cui uno inferiore ai 10 anni e il secondo nato dal 1 gennaio 2024, e con Isee non superiore ai 40 mila euro. Due non detti, il primo che l’incremento vale solo per quest’anno, il secondo che gli asili nido sono pochissimi, concentrati al Nord, territorio in cui il reddito medio è assai più alto che al Sud, e che la revisione del Pnrr voluta dal ministro Fitto taglia proprio il numero di nidi da realizzare nel Mezzogiorno.
Il commento di Sandro Gallittu, responsabile politiche per le famiglie della Cgil nazionale, è netto: “Al di là delle roboanti dichiarazioni in Conferenza Stampa che si riferivano ai nidi gratis per tutte le famiglie con almeno 2 figli, anche il più ridotto obiettivo appare in tutta la sua dimensione di spot comunicativo più che di reale contributo alla soluzione del problema.
I congedi parentali
Questa sarebbe una delle strade corrette da percorrere per una condivisione del lavoro di cura ma anche in questo caso la manovra contiene inganni. Innanzitutto è giusto portare all’80% della retribuzione il contributo per il secondo mese di congedo parentale, peccato che valga solo per il 2024. Dice ancora Gallittu: “Sarebbe ben maggiore la necessità di agire su questa leva anche nella direzione di incentivare il congedo da parte dei padri verso una più equa ripartizione del lavoro di cura familiare ed è necessario sottolineare che se la nostra Organizzazione chiede da subito che il sistema vigente in periodo Covid diventi strutturale, appare anche insufficiente il limite massimo dei 6 anni del minore”.
La decontribuzione
Anche in questo caso stiamo parlando di bonus, anche se stavolta dura un po’ di più fino al 2026. L’articolo 37 della manovra prevede la decontribuzione per le lavoratrici con rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato, vale per quelle madri di tre figli fino al compimento di 18 anni del più piccolo, o per quelle con due figli fino al compimento di 10 anni dell’ultimo nato. Ma appunto tutto questo finisce nel 2026. Domande e le lavoratrici a tempo indeterminato? E quelle autonome? E quelle a tempo indeterminate ma impiegate nel settore domestico? La risposta prova a darla Gallittu: “È un vulnus al principio della universalità perché rivolto esclusivamente alle lavoratrici subordinate, ancora una volta una misura che avvantaggia unicamente quelle a tempo indeterminato e in misura più significativa i redditi più elevati rispetto a quelli più bassi”. Se questo vuole essere un modo per ridurre la perdita di reddito quando si torna dal periodo di astensione dopo la maternità proprio non ci siamo, anzi così facendo si rischia di cristallizzare la situazione esistente.
Una manovra sconclusionata
Le considerazioni che meglio raccontano la filosofia del provvedimenti sono di Daniela Barbaresi, segretaria nazionale della Cgil, che dice: “Il Governo, nella sua foga ideologica, continua ad affrontare i temi della genitorialità declinandoli sempre e solo in termini di politiche di genere e di maternità, peraltro senza mai pensare alle esigenze delle bambine e dei bambini a partire dai loro bisogni educativi e di socialità da garantire attraverso una rete diffusa di servizi educativi, pubblici e di qualità, quali gli asili nido, da garantire a tutte e tutti”.
L’assegno unico
E quel che dice la segretaria è talmente vero che è proprio sul fatto che pensare alle famiglie è cosa altra dal familismo, infatti se osserviamo l’assegno unico siamo davvero al paradosso. Eurostat ha appena pubblicato uno studio dal quale emerge che ben il 63% delle famiglie italiane fa fatica ad arrivare a fine mese. È il dato peggiore d’Europa, ma l’importo dell’assegno unico per le famiglie è il più basso, in media 53 euro al mese per figlio. Ebbene nonostante questo il Decreto anticipi, oltre ad aver sottratto i 350 milioni destinati alla disabilità, ne ha sottratti altri 350 avanzati dal Fondo per l’assegno unico invece che redistribuirli alle famiglie. Non solo, ma la Commissione europea ha appena richiamato l’Italia ritenendo che una parte della norma sull’assegno unico sia discriminatorio. “La Cgil esprime soddisfazione per la decisione della Commissione Europea che richiama di nuovo il nostro Paese a rimuovere le previsioni discriminatorie relative ai requisiti necessari per avere diritto all’Assegno Unico Universale. Lo sosteniamo da quando è stata varata la misura: richiedere la residenza da almeno due anni in Italia porta all’esclusione di tanti cittadini, comunitari e non”. Lo dichiarano le segretarie confederali della Cgil Daniela Barbaresi e Maria Grazia Gabrielli, che commentano così il parere motivato inviato nei giorni scorsi all’Italia dalla Commissione.
Stereotipi, discriminazioni, patriarcato
La verità è che questa manovra oltre a esser improntata all’austerità e a non prevedere nulla per la crescita è intrisa di una cultura familista, falsamente familista. Le donne, lo dicevamo, esistono solo in quanto madri, la genitorialità quasi scompare e si pretenderebbe di incentivare la natalità con regalie una tantum e bonus. Direzione ostinatamente contraria. La conclusione di Lara Ghiglione è amara: “Servono politiche e misure per incentivare l’occupazione delle donne stabile, per garantire parità salariale, per potenziare i servizi pubblici per l’infanzia e gli anziani che sono a prevalente manodopera femminile, strumenti di condivisione del lavoro di cura. Questi sarebbero investimenti importanti – aggiunge la segretaria nazionale - anche per cercare di dare una risposta al calo demografico che interessa il nostro Paese, invece si fanno timide regalie alle donne già madri per un solo anno, attraverso la decontribuzione, e poi si porta l'Iva dei prodotti per l'infanzia dal 5 al 10%. Provvedimenti confusi e inefficaci”.