Si parte da un caso particolare per poi andare fino al generale: la vicenda giuridica è quella delle persone non autosufficienti affette da morbo di Alzheimer. La richiesta dei sindacati, rivolta al governo e alle Regioni, è arrivare a una piena attuazione della riforma della non autosufficienza, che è rimasta ferma al palo. Per entrare nella sostanza dei problemi ne abbiamo discusso con Stefano Cecconi, segretario nazionale dello Spi Cgil.

La richiesta di incontro

Lo scorso 21 febbraio le organizzazioni dei pensionati di Cgil, Cisl e Uil hanno scritto una lettera al ministro della Salute, Orazio Schillaci, la vice ministra del Lavoro Maria Teresa Bellucci e il presidente della Conferenza delle Regioni e PA, Massimiliano Fedriga: obiettivo chiedere un incontro sulla compartecipazione delle spese delle persone non autosufficienti.

Alcune recenti sentenze e ordinanze della Corte di Cassazione, confermando pronunciamenti precedenti, hanno respinto il ricorso di strutture residenziali che reclamavano il pagamento della retta per la quota di prestazioni socio-assistenziali a carico di persone ricoverate affette di Alzheimer. La Corte ha stabilito che l’intera retta è a carico del servizio sanitario nazionale. In estrema sintesi questa la motivazione: “Si tratta in tali casi di prestazioni di natura sanitaria che non possono essere eseguite se non congiuntamente alle attività di natura socio-assistenziale”.

I pronunciamenti della Cassazione

“Almeno da un paio d’anni – esordisce Cecconi -, in seguito alle azioni di cittadini e persone con famigliari ospiti delle Rsa, con demenza o malattia da Alzheimer, quegli stessi ricorsi si concentravano sulla necessità di non pagare la retta della persona gravemente malata perché equiparabile a un ricovero in ospedale”.

Alla fine la Corte ha deciso: “Con diversi pronunciamenti, almeno quattro recenti, ha dichiarato che l’affetto dal morbo, dopo una valutazione operata in concreto sulla persona, per le condizioni di bisogno assistenziale in cui si trova non doveva pagare la retta, perché queste attività erano inscindibili dalle prestazioni sanitarie. Tradotto in estrema sintesi: chi è in Rsa perché gravemente malato di Alzheimer viene ricondotto al servizio sanitario nazionale”.

Attuare la riforma con le giuste risorse

Le ordinanze della Cassazione si riferiscono però a casi individuali, ovvero fanno giurisprudenza ma non sollecitano modifiche legislative. Cecconi specifica: “Restando la legislazione vigente, la Corte ritiene che quella particolare persona con Alzheimer non debba pagare la quota”. In questo modo, però, si aumenta la possibilità di altri ricorsi e si crea una situazione complessiva di instabilità per tutti i cittadini.

Da qui l’urgenza di un incontro: “Vogliamo capire come intende muoversi il governo e la Conferenza delle Regioni – spiega il sindacalista -. A questo punto va attuata pienamente la riforma della non autosufficienza, ossia la legge 33 del 2023 e il decreto attuativo 29 del 2024, e bisogna farlo con lo stanziamento di risorse adeguate”. Questo potrebbe andare a sanare anche la situazione dell’Alzheimer, così come delle altre demenze. Perché il problema è complessivo, considerando che non esistono solo le Rsa, ma molte persone malate vengono curate in casa, un numero refrattario alle statistiche.

Il governo deve intervenire

“Governo e Regioni devono attivarsi – conclude Cecconi -. Oggi la spesa a carico delle famiglie delle persone, sia nelle strutture che nelle case private, è catastrofica: pochi riescono a sostenere i costi, colpa anche del nuovo sistema fiscale che è stato definito in modo vergognoso. Un sistema che doveva servire, per esempio, ai non autosufficienti per vivere in casa propria sostenendo le spese. Parliamo di un fenomeno drammatico: sono stimate un milione e centomila persone in condizioni di varia demenza, con l’invecchiamento della popolazione il numero è destinato a salire. Se non ci rispondono – infine – solleciteremo la richiesta di incontro”.