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L’accresciuta aspettativa di vita rappresenta indubbiamente un successo per il welfare dell’Italia, che da tempo è una delle nazioni più longeve del mondo, sopravanzando nel 2017 per il sesso maschile tutte le altre dell’Unione europea. Gli indicatori sulla dimensione qualitativa della sopravvivenza dimostrano che non solo è aumentata la speranza di vita, ma anche la vita media in buona salute.
Le donne che nel 2020 hanno 80 anni possono sperare di viverne almeno altri 10 e i coetanei maschi quasi 9. Nell’ultimo decennio, i sessantacinquenni hanno guadagnato più di un anno di speranza di vita in buona salute (da 5,6 nel 2009 a 7,3 nel 2019). Pertanto, le donne a 65 anni si aspettano di vivere in buona salute almeno il 30% degli anni che restano loro, gli uomini più del 40%. Per gli ultraottantenni, questa possibilità diminuisce di poco, scendendo al 23,6% dei 10 anni che restano ancora da vivere per le donne e al 33% dei 9 anni per gli uomini.
Cosa vuol dire buona salute
La percezione di buona salute, che consente di cogliere la multidimensionalità del concetto di salute, inteso, secondo la definizione dell'Organizzazione mondiale della sanità, come stato di “completo benessere fisico, mentale e sociale” è complessivamente maggiore tra gli anziani maschi, sebbene l’incremento nell’ultimo decennio sia stato maggiore nelle donne tra i 65 e i 74 anni e nei maschi ultra settantacinquenni.
Altro dato importante è che l’istruzione rappresenta un fattore determinante per lo stato di salute: più aumenta il livello di scolarità migliore è la condizione di salute. Si rileva in buona salute il 52.1% delle persone anziane con laurea a fronte del 43.9% dei diplomati e del 39% tra coloro che sono in possesso solo di diploma di scuola media inferiore. La scolarità sembra influenzare anche la percezione di buona salute anche in presenza di malattie croniche, con valori del 43.1% tra i laureati, 35.1% dei diplomati e 31.5% in possesso di diploma di scuola media inferiore.
La multi patologia è una delle principali dimensioni di salute degli anziani over 80: negli ultimi due decenni le persone affette da almeno tre patologie croniche sono raddoppiate, raggiungendo oltre 1,8 milioni. Nel 2019 gli ultraottantenni con comorbilità sono circa il 47% del totale: un dato simile a quello del 2000, benché nello stesso periodo la sopravvivenza degli uomini sia aumentata di oltre 4 anni e quella delle donne di circa 3 anni.
Essere autonomi anche da anziani
Circa la metà delle persone con più di ottanta anni non presenta problemi di autonomia nelle attività quotidiane fondamentali (ADL), come sdraiarsi e alzarsi dal letto, vestirsi e spogliarsi da soli, fare il bagno o la doccia, usare i servizi igienici o mangiare da soli. Anche in questo caso gli uomini sono in una posizione di vantaggio: sono il 57%, contro il 40% delle donne, con una differenza dovuta solo in parte alla maggiore longevità delle seconde.
L’autonomia nelle ADL è gravemente danneggiata per circa un milione di ultraottantenni (i 3/4 dei quali sono donne). Si giunge, addirittura a 2,3 milioni di persone (45,3% tra gli uomini e 68,1% tra le donne over 80) nel caso delle attività quotidiane di tipo strumentale (IADL), ovvero quelle occupazioni “domestiche” come prepararsi i pasti, fare la spesa, usare il telefono, assumere i farmaci, svolgere lavori casalinghi, gestire le proprie finanze. Anche la percezione di buona salute tra gli anziani con patologie croniche risulta maggiore nel genere maschile, con un incremento più costante nelle femmine in fascia d’età 65-74 anni e uguale tra i generi negli ultrasettantacinquenni. Nel 2019 il 75.9% degli anziani in fascia d’età 65-74 anni e il 90.2% degli ultra settantacinquenni ha assunto farmaci. L’incremento nell’ultimo decennio è stato lieve (nel 2010 era 73% nella fascia 65-74 anni e 86% tra gli ultra settantacinquenni), ma stabile.
Nella fascia d’età 65-74 anni esprimono sufficientemente soddisfazione per la propria salute il 41% degli anziani e un altro 41% si dichiara addirittura molto soddisfatto. La percentuale si è mantenuta abbastanza costante nel corso degli anni. Tra gli ultra settantacinquenni la sufficiente soddisfazione si mantiene intorno al 41%, mentre scendono al 35.5% coloro che si valutano molto soddisfatti.
L’analisi delle relazioni sociali evidenzia al 2019 una maggiore solitudine nel genere femminile, sia in fascia d’età 65-74 anni (27.7%), sia ultra settantacinquenne (44.6%), a fronte dei rispettivi 19.8% e 33.2% dei maschi. Si evidenzia nell’ultimo decennio un progressivo aumento degli anziani con ridotte o assenti relazioni sociali, soprattutto nel genere femminile ultra settantacinquenne, che passa da un 39.4% del 2010 a 44.6% del 2019 con un incremento progressivo.
La definizione di vecchiaia
Abbiamo volutamente riportato i dati riferiti alle due fasce d’età 65-75 anni e ultra settantacinquenni raccogliendo la sollecitazione della Società taliana di geriatria e gerontologia, che ha proposto di aggiornare il concetto di anzianità, portando a 75 anni l’età ideale per definire una persona come anziana. Un 65enne di oggi ha la forma fisica e cognitiva di un 40-45enne di 30 anni fa e un 75enne quella di un individuo che aveva 55 anni nel 1980.
Per concludere, l’aumento degli anziani rappresenta un vincolo e una risorsa, un processo da tenere in considerazione per la programmazione delle politiche sociali e sanitarie nel futuro. Un vincolo, per le conseguenze che il peso delle malattie causano in termini di fabbisogno di assistenza; una risorsa perché gli anziani sono un utile sostegno per le famiglie, alle quali spesso danno aiuto per la cura dei figli e supporto economico nei casi di disoccupazione o di perdita del lavoro dei più giovani, contrastando cosi il rischio di povertà, soprattutto nelle regioni del Mezzogiorno.
È certo che i dati evidenziano un aumento della popolazione anziana che si percepisce in buona salute, con una prevalenza di multi patologia in leggera diminuzione tra i maschi e in leggera salita tra le femmine, ma la vera sfida per il nostro welfare sarà però costituita dalla riduzione della non autosufficienza provocata dalla compromissione delle funzionalità motorie, sensoriali e cognitive e la sua insorgenza in età sempre più avanzata.
I quattro obiettivi principali
Una sfida che si inserisce anche nel Piano dell’Onu e dell’Oms “Invecchiamento in buona salute 2021-2030” attraverso l’integrazione delle seguenti quattro aree d’azione: creare ambienti fisici, sociali ed economici a misura di anziano; combattere i pregiudizi, gli stereotipi e le discriminazioni nei confronti dell’invecchiamento; sviluppare un’assistenza integrata preventiva, curativa, riabilitativa e palliativa; garantire l’assistenza a lungo termine.
Cosimo Dentizzi è un geriatra, docente all’università del Molise