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Viaggio sospeso e attesa per una convocazione dei sindacati da parte del governo. La riforma della previdenza - con le nuove norme che dovrebbero superare la legge Fornero - è per ora parcheggiata a bordo pista. Lo scenario politico ed economico ha infatti subito vari shock nell’ultimo periodo, a cominciare dalla guerra in Ucraina. L’incontro con il presidente del Consiglio, Mario Draghi, che si pensava potesse tenersi all’inizio del mese di marzo, è ora in attesa di una nuova data. Con il segretario confederale Cgil Roberto Ghiselli facciamo il punto sulle questioni in sospeso, soprattutto sui tempi della riforma.
Segretario, i lavoratori si chiedono cosa stia succedendo. L’incertezza è grande, soprattutto per coloro che speravano in un cambiamento di registro per poter lasciare il lavoro prima dei tetti rigidi fissati dalla legge Fornero. A che punto siamo?
Il confronto per una riforma era stato finalmente avviato positivamente. Dopo i primi avanzamenti fatti con il Governo Conte, bruscamente interrotti con la caduta di quell’esecutivo, con il Governo Draghi si era riavviato un dialogo proficuo, seppur tardivo. In vari incontri tecnici con i ministeri competenti abbiamo avuto modo di spiegare più nel dettaglio le nostre proposte contenute nella piattaforma di Cgil, Cisl, Uil. (vedi il pdf allegato, ndr) e interloquire sulle possibili soluzioni. Sulla pensione di garanzia per i più giovani, ad esempio, si è aperta una discussione sulle possibili diverse modalità di realizzazione. Alla nostra proposta d'introdurre una pensione contributiva di garanzia è stato abbozzato un approccio in parte diverso che immagina un mix tra strumenti previdenziali e strumenti assistenziali.
Oltre alla pensione di garanzia per i giovani, e in generale per tutte quelle lavoratrici e quei lavoratori che a causa dei loro lavori discontinui e precari non riusciranno a costruirsi una pensione decente, c’è il grande tema della flessibilità in uscita. Su questo sono stati fatti progressi negli incontri tecnici?
Prendendo per buona la generica disponibilità manifestata dal governo a introdurre una maggiore flessibilità nell’accesso alla pensione, lo scoglio principale sembra essere il ricalcolo contributivo dell’intero periodo lavorativo. Nella piattaforma unitaria noi proponiamo che si possa permettere alle lavoratrici e ai lavoratori di poter scegliere quando andare in pensione, senza penalizzazioni, a partire dai 62 anni di età o con 41 anni di contributi a prescindere dall’età. Questa proposta è ancor più sostenibile considerando che siamo in un passaggio di fase decisivo per il sistema previdenziale, in quanto le future pensioni saranno liquidate prevalentemente o esclusivamente con il calcolo contributivo, con il quale un eventuale anticipo pensionistico sostanzialmente non comporta costi aggiuntivi per lo Stato.
Sempre sul tema specifico, ci sono altre questioni?
Sì, certamente. Vanno ridotti sensibilmente i vincoli che nel sistema contributivo condizionano il diritto alla pensione a 64 o 67 anni di età al raggiungimento di determinati importi minimi del trattamento (1,5 e 2,8 volte l’assegno sociale), penalizzando in questo modo i redditi più bassi. Occorre, inoltre, modificare l’attuale meccanismo automatico di adeguamento delle condizioni pensionistiche alla speranza di vita, doppiamente penalizzante perché agisce sia sui requisiti anagrafici e contributivi di accesso alla pensione sia sul calcolo dei coefficienti di trasformazione: quindi, si va in pensione sempre più tardi con pensioni sempre più basse. Bisogna anche scongiurare il rischio che lunghi periodi di congiuntura economica negativa, come accaduto negli ultimi anni, determinino effetti sfavorevoli sulla rivalutazione del montante dei contributi accantonato e quindi sulle prestazioni pensionistiche.
Le difficoltà, almeno per quanto riguarda i contenuti della riforma, si evidenziano nei costi. Per abbassare l’incidenza sulla spesa previdenziale il governo potrebbe insistere con misure di flessibilità nelle uscite che penalizzano però i lavoratori e le lavoratrici…
Esatto, lo abbiamo visto ad esempio con 'opzione donna': il ricalcolo applicato finora determina pesanti penalizzazioni per le lavoratrici. Andando a guardare gli assegni previdenziali per le lavoratrici che hanno scelto di lasciare il lavoro con 'opzione donna' sono evidenti le penalizzazioni, che in molti casi superano anche il 30 per cento dell’importo della pensione. Se il governo proponesse di utilizzare lo stesso meccanismo per poter andare in pensione prima dei 67 anni per noi sarebbe inaccettabile, perché estremamente penalizzante per tutti e insostenibile per le fasce più deboli della popolazione lavorativa. E per quanto concerne le donne e il lavoro di cura, pensiamo a soluzioni più eque e incisive.
Altri nodi da sciogliere?
Un altro problema che abbiamo posto al tavolo della trattativa riguarda il modo in cui riconoscere strutturalmente il lavoro gravoso, visto che l’Ape sociale è uno strumento imperfetto ed è stata prorogata solo per il 2022. L’ultima legge di bilancio recepisce il lavoro della Commissione sui lavori gravosi, della quale fanno parte esperti indicati anche da noi, che estende le mansioni considerate gravose da 57 a 221. Un lavoro che ci ha consentito di far ricomprendere praticamente tutte le categorie operaie e molte altre, anche se qualche ulteriore aggiustamento va fatto, con l’inserimento di alcune ulteriori mansioni, un diverso trattamento del lavoro notturno e delle attività usuranti.
Ma come possiamo dare stabilità a questo riconoscimento?
Occorre garantire strutturalmente condizioni più favorevoli per l’accesso alla pensione delle categorie più deboli, a iniziare da quelle che rientrano nell’Ape sociale (disoccupati, invalidi, coloro che assistono un familiare con disabilità e chi ha svolto lavori gravosi o usuranti). In questo contesto è necessario tutelare la figura dei 'lavoratori fragili' che nell’emergenza sanitaria sono più esposti ai rischi del contagio. Occorre, infine, ampliare la categoria dei disoccupati, a iniziare da quelli di lunga durata, fra cui gli esodati.
Questi sono gli scogli della riforma. Ma perché la trattativa risulta ancora sospesa? Quali sono le scadenze temporali all’orizzonte?
Non v'è dubbio che l’emergenza bellica e la gestione delle sue ricadute sul piano umanitario, politico ed economico in questa fase hanno la precedenza. Pensiamo all’obbligo dell’accoglienza e del sostegno a quella popolazione aggredita. Pensiamo anche all’emergenza prezzi e bollette energetiche, e le crescenti difficoltà di molte attività economiche e lavorative. In questo senso unitariamente il sindacato in questi giorni ha sollecitato il governo a dare risposte più incisive. Pensiamo comunque che il confronto sulla previdenza debba ripartire al più presto per arrivare a una riforma che parta dal 2023.
Di quale riforma abbiamo bisogno?
Serve un intervento organico e strutturale, che dia un assetto stabile a tutto il sistema previdenziale. Una legge che sostituisca le regole della Fornero e superi le varie misure transitorie e tampone, tipo 'quota 102' che è stata una vera e propria presa in giro. Per questo la scelta dei tempi è fondamentale. Se vogliamo pensare alla riforma da far partire dal prossimo anno, è evidente che la previsione di questo intervento dovrà essere inserita nel Documento di economia e finanza che andrà approvato entro aprile. Comunque continueremo a sollecitare il governo e, dopo lo sciopero generale del 16 dicembre, dovremo dare continuità alla nostra iniziativa.