“Beati i poveri perché loro è il regno dei cieli”, recita il Vangelo di Matteo. Quello sulla terra invece è dei ricchi e di redistribuzione più equa della ricchezza – almeno in Italia – nemmeno parlarne. Anzi sembra proprio che, a voler essere generosi, chi ci governa sembra aver accantonato la questione.

C’è chi dà i numeri della povertà e c’è chi non li legge

Prima l’Istat e ora la Caritas:  di cos’altro ha bisogno il governo per scoprire che nel nostro Paese ci sono tanti poveri quanto mai prima? Sfiorano i sei milioni, sono bimbi e bimbe e sono lavoratori e lavoratrici, il cui reddito è talmente basso da costringerli a rivolgersi alle mense caritatevoli o al banco alimentare. Meloni, Giorgetti e Calderoni non li vedono e non li vogliono vedere. Mentre il presidente della Repubblica Mattarella, nella giornata contro la povertà, ha fatto arrivare una cospicua donazione al Banco alimentare, il governo nella manovra di bilancio all’attenzione del Parlamento non scritto una parola né un numero ad indicare di aver consapevolezza della dimensione del fenomeno e della volontà di affrontarlo. E, come si sa, i poveri sono tanti al Sud ma sono diventati tanti al Nord, dove il lavoro c’è ma è povero.

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Il governo fa cassa sui poveri

Non ha peli sulla lingua Daniela Barbaresi, segretaria confederale della Cgil che afferma: "Nonostante nel nostro Paese una persona su dieci viva in condizioni di povertà assoluta, con un record totale e in continua crescita di 5,7 milioni di poveri, il governo non solo finge di non vedere, ma su di loro fa cassa. È stata praticamente dimezzata la platea di coloro che un anno fa potevano contare su una misura di contrasto della povertà, oggi lasciati soli e privi di sostegni: si tratta di 629 mila nuclei famigliari in meno (pari a -48%) e 1,1 milioni di persone in meno (-40%) rispetto a quelli che nello stesso periodo del 2023 beneficiavano di Reddito e pensione di cittadinanza".

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Lavoro povero

Ricordate Meloni far le barricate contro il salario minimo legale? La ricordate ancora raccontare in video ma rigorosamente senza rispondere a domande, che da quando c’è lei mai tanti posti di lavoro stabili sono stati creati? Falso. A dirlo è il ventottesimo Rapporto Carisa sulla povertà: “Continua infatti a crescere in modo preoccupante la povertà tra coloro che possiedono un impiego. Complessivamente tocca l’8% degli occupati (era il 7,7% nel 2022), anche se esistono marcate differenze in base alla categoria di lavoratori; se si ha una posizione da dirigente, quadro o impiegato l’incidenza scende al 2,8%, mentre balza al 16,5% se si svolge un lavoro da operaio o assimilato (dal 14,7% del 2022). Quest’ultimo in particolare è un dato che spaventa e sollecita, segno emblematico di una debolezza del lavoro che smette di essere fattore di tutela e di protezione sociale”. Insomma, una persona su quattro tra quelle che si rivolgono alla Caritas ha un’occupazione.

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Le caratteristiche della povertà

È sempre la Caritas ad individuarle attraverso i propri centri di ascolto e sono preoccupanti. Innanzitutto aumenta la cronicità della povertà: “Si rafforzano le povertà intermittenti e croniche (dal 54,7% al 59%); una persona su 4, di fatto, è seguita da 5 anni e più”. Ci sono due dati davvero preoccupanti, il primo è che i poveri sono sempre più poveri. Il secondo, è negato il “diritto ad aspirare”. Si legge infatti: “Vivere in una condizione di povertà in modo prolungato e cronico erode il capitale progettuale, le aspettative e i sogni delle persone. Il motivo principale è la prolungata esposizione allo stress derivante dalle molteplici problematiche da affrontare quotidianamente: uno stress tossico che impatta su attenzione, memoria, concentrazione e capacità di pianificare”.

La fine dell’universalismo per contrastare la povertà

Era il Primo Maggio di due anni: per salutare la festa dei lavoratori e delle lavoratrici la ministra Calderone e la premier Meloni pensarono bene di fare un decreto che oltre a far aumentare la precarietà servì a cancellare il Reddito di Cittadinanza. È sempre Caritas a dire: “Il passaggio alle nuove misure contro la povertà, Assegno di inclusione e supporto alla formazione e al lavoro, segna un cambiamento profondo nell’approccio alla povertà: con queste misure, il diritto a ricevere sostegno non è più garantito ‘solo’ in base alla condizione di povertà”. Risultato? La metà di quanti percepivano il RdC non ricevono più nulla, 331mila nuclei familiari, tanti al Nord, non hanno più diritto a nulla.

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Il bancomat

Per poter far ragionamenti con qualche fondamento la conoscenza dei numeri certi è fondamentale. Ma si sa chi ci governa pensa che anche la conoscenza è bene non distribuirla. O forse si vergognano dei numeri che dovrebbero dare. Dai pochi dati resi noti dall’Inps, risulta che nei primi sei mesi del 2024 hanno percepito l’Adi 695mila nuclei familiari con 1,7 milioni di persone beneficiarie della misura. Nello stesso periodo dell’anno scorso, avevano percepito almeno una mensilità di Reddito o Pensione di Cittadinanza 1,3 milioni di nuclei familiari con 2,8 milioni di persone. Numeri che per Barbaresi “confermano tutta la drammaticità della situazione e il cinismo del governo: se l’obiettivo era quello di risparmiare sui poveri e sulle persone in difficoltà allora si può affermare che l’esecutivo abbia incassato un successo pieno”.

Infatti, prosegue, “nel periodo gennaio-maggio 2024, per l’Assegno di inclusione sono stati erogati 1,7 miliardi di euro. Nello stesso periodo del 2023, gli importi erogati per Reddito e Pensione di Cittadinanza sono stati superiori a 3 miliardi di euro: dunque, in pochi mesi, le nuove misure hanno già determinato un taglio di 1,3 miliardi di euro di risorse destinate al contrasto della povertà”.

I numeri non mentono

A conti fatti, se il trend rimarrà inalterato, la spesa complessiva per le due misure di contrasto alla povertà volute dal governo di destra varranno 4,2 miliardi. 4,2 sottratti agli 8 che vennero investiti nel Reddito di cittadinanza nel 2022: danno come risultato meno 4 miliardi al contrasto della povertà. Dimenticando o non volendo vedere che nei due anni di era Meloni la povertà è aumentata.

Nella manovra il nulla

La denuncia arriva da Corso d’Italia, afferma infatti Barbaresi: “a fronte di questi numeri, nel Disegno di legge di bilancio 2025 il tema risulta non pervenuto. Se non si tornerà a garantire non solo le stesse risorse che venivano destinate al RdC, ma soprattutto una misura universale di contrasto della povertà che non lasci indietro nessuno sarà evidente il frutto amaro di un governo crudele che, mentre legalizza l’evasione fiscale, taglia su povertà, sanità e istruzione”.

Sciopero generale anche per i poveri

“È grave - afferma la segretaria - che a quasi un anno dall’introduzione dell’Adi non ci sia un monitoraggio tempestivo, periodico e dettagliato: perché non vengono forniti i dati? Cosa c’è da nascondere? Forse il fallimento delle politiche del governo di contrasto della povertà. Chiediamo con forza all’Inps di rendere subito disponibili i dati e consentire a tutti di valutare l’impatto delle misure”. “Ancor più urgente - conclude - è una reazione sociale forte, di critica e contrapposizione alle politiche liberiste del governo Meloni. Si rafforzano le ragioni dello sciopero generale proclamato da Cgil e Uil per il 29 novembre prossimo”.