1.664 associazioni, 250 mila iscritti, 35 mila volontari impegnati ogni anno in 6 milioni 750 mila ore. L’Auser, costituita nel 1989 dalla Cgil e dallo Spi, è oggi una grande rete, rivolta soprattutto agli anziani e aperta ai giovani e alla contaminazione con altre culture, dove i cittadini di tutte le età trovano l’opportunità di partecipare, incontrarsi, praticare la solidarietà. Quest’anno festeggia i 35 anni di vita e di attivismo, un compleanno importante che è anche un’occasione per fare un punto, guardare al passato, a quello che è accaduto, e naturalmente al futuro.

“Grazie a questi anni di lavoro intenso e di crescita, oggi abbiamo creato uno dei network più forti del terzo settore, strutturato sul territorio e nelle comunità, con una pluralità di iniziative che hanno tutte un senso solidaristico, di non fare sentire sole le persone”.

Quindi si può dire che la sua missione l’Auser l’ha perseguita?
Certo, e abbiamo anche fatto tanta strada, che ci ha portato a essere un soggetto autorevole e forte e credibile, che ha intenzione di guardare al futuro cambiando sé stesso. D’altronde oggi lo scenario in cui ci muoviamo è completamente diverso rispetto a 35 anni fa.

Che cosa è cambiato?
Innanzitutto la condizione degli anziani è nettamente peggiorata. Da un lato si è allungata l’età media della vita, anche se con la pandemia e la destrutturazione del sistema di welfare c’è stata una riduzione dell’aspettativa, con differenze territoriali: nel Mezzogiorno si vive di meno rispetto ad altre aree del Paese perché welfare e sanità sono meno in grado di fare fronte alle esigenze delle persone. Ma è peggiorata anche perché chi non è più produttivo è considerato uno scarto umano, come dice il Papa. Molti sono esclusi dalla socialità e vivono da soli. Ecco, la solitudine è uno dei tanti temi da affrontare. Dare conforto, portare la spesa a casa o fare una semplice telefonata significa rompere la solitudine. Questo è un nostro assillo, una priorità rispetto alle tante attività che l’Auser porta avanti.

Si vive di più ma sono aumentate anche le cronicità. Qual è la situazione?
La società dovrebbe essere in grado di fare fronte alle cronicità, alla non autosufficienza, e questo non sta accadendo. Dovresti portare i servizi dove si trovano gli anziani, cambiare quelli sanitari e sociosanitari. Oggi si fa meno prevenzione e il modello di medicina territoriale che doveva essere attuato si sta arenando, a cominciare dalle case di comunità. Si è arrivati a fare una buona legge sulla non autosufficienza, anche innovativa, frutto di tante battaglie, ma non ci sono le risorse necessarie. In questo modo si rischia di vanificare un provvedimento che avrebbe dovuto accompagnare le politiche a sostegno delle persone anziane.

L’Auser che cosa può fare?
Questo compleanno ci serve per fare una riflessione su noi stessi. Siamo in forte crescita in termini di iscritti e abbiamo dovuto fare fronte a tanti cambiamenti, come la riforma del terzo settore. Abbiamo l’ambizione di essere un soggetto protagonista, che unifica una realtà molto frantumata, con capacità di co-progettazione e co-programmazione. L’amministrazione condivisa è uno strumento previsto dalla riforma, che consente di sviluppare rapporti di collaborazione con la pubblica amministrazione per migliorare le condizioni di vivibilità delle comunità, affrontare le tante esclusioni. In questa ottica crediamo che il rapporto con Cgil e Spi sia un punto fondamentale.

Nell’intuizione di Bruno Trentin, il sindacato non doveva fare solo contrattazione ma doveva essere il sindacato dei diritti. È lì che punta l’Auser?
Sì, dobbiamo rimettere al centro la persona, una questione di stringente attualità che ci costringe tutti a un ripensamento, così come le transizioni ambientale e digitale, la crisi demografica. Questo significa garantire un sistema di welfare capace di assicurare a tutti le stesse condizioni. Perché c’è differenza tra chi prende 2.500 euro di pensione, e sono pochi, e chi invece è sotto i mille euro.

Un welfare che riguarda tutti gli aspetti della vita. Prendiamo per esempio le politiche abitative. Si dovrebbe dare a tutti il diritto di invecchiare a casa propria, quindi offrire alloggi adeguati per non condannare gli anziani nelle Rsa. Invece assistiamo a grandi ritardi e incongruenze. Ecco, anche questo rientra nell’idea di perseguire un nuovo modello di sviluppo sociale ed economico, che è sempre l’orizzonte della nostra azione.