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“Sto rassegnandomi all’idea che non mi godrò i nipoti. Quando andrò in pensione sarò costretto ad andare in un Paese dove si possa vivere con 700 euro al mese”. È la considerazione amara di Mario, 60 anni ma non li dimostra. Appena può scappa al mare a pescare, ricordo ancestrale delle sue origini meridionali.
Gli inizi
La passione per le professioni sanitarie l’ha fin da ragazzo: alle superiori ha frequentato l’istituto per odontotecnici, il sogno era “studiare medicina”. L’irruenza della gioventù l’ha portato all’estero: “Cameriere, giardiniere, imbianchino e molto altro. Il lavoro non mi ha mai spaventato”. Al rientro in Italia un’esperienza bellissima, quando ne parla gli si riempiono gli occhi di ricordi: “Alla fine degli anni '80 ho lavorato come addetto alla segreteria di produzione di alcuni programmi di rete di Rai3, quella Raiì3! Ho conosciuto persone fantastiche e guadagnato bei soldi”. Ma la passione per “prendersi cura dei pazienti” è tornata potente. Lasciò la Rai e tornò a studiare.
La fisioterapia
Agli inizi anni '90 dello scorso secolo si “laurea” in fisioterapia seguendo la sua passione, il suo talento. Non fatica affatto a trovare lavoro: lo prendono subito in un centro specializzato nella terapia delle disabilità importanti, convenzionato con il sistema sanitario regionale. Lo conoscevano bene, lì aveva svolto il tirocinio obbligatorio durante il secondo anno di studi e più volte l’avevano chiamato per sostituzioni quando ancora non era laureato (allora si poteva, oggi non più). Ma c’è un ma. Sì, perché durante quello che Mario riteneva un colloquio di assunzione gli viene detto che per poter lavorare doveva aprire la partita Iva. Non capisce ma si adegua pensando fosse una condizione transitoria. Transitoria che dura da 27 anni, nonostante le sue ripetute richieste di contratto e contributi. “Nel corso di questi molti colleghi sono andati in pensione pensavo, pensavamo che li avremmo sostituiti venendo assunti. Invece no, hanno preso altro personale, noi e loro tutti non assunti”.
Il tempo passa
E arrivano le considerazioni amare. Se trent’anni fa in quel centro lavoratori e lavoratrici “a partita Iva” erano la minoranza, oggi “siamo ben oltre il 50%. All’inizio ero pieno di entusiasmo e cercavo di investirlo in me stesso. Ho fatto corsi di specializzazione pagandomeli da solo, ho cercato di portare idee e creatività nel centro. Oggi mi ritrovo davvero con poco in mano e preoccupato per il futuro”. Dopo tutto questo tempo se Mario, come accade a tutti, si ammala non viene pagato. “Mi sono fermato solo sette giorni per una frattura di costole e quando ho la febbre, a meno che non arrivi a 39, vado lo stesso a lavorare”. Come è “ovvio” quando il centro chiude per ferie lui non riceve nulla. Così come durante il lockdown: “Gli unici soldi che ho ricevuto sono i bonus per le partite Iva erogati dall’Inps, due volte 600 euro”. Beh, si dirà, ma avrà un bel giro di attività privata fuori dal centro. Mica vero perché di tempo e di energia ne rimane davvero poca.
Quante anomalie
Mario non sceglie i pazienti, non sceglie l’orario di lavoro, non definisce le tariffe per la sua prestazione che invece viene decisa dalla struttura. Ma di che razza di lavoro autonomo stiamo parlando? E quando risparmia quella struttura di costo del lavoro, visto che la maggior parte dei dipendenti sono finte partite Iva? Tutto regolare?
È tempo di bilanci
A voler far di conto si scopre che mediamente il reddito annuo lordo di Mario non arriva a 30mila euro: detratti i 1.200 che versa al commercialista, poi l’Iva, i contributi previdenziali e le tasse, gli rimane ben poco. Ha interrogato la banca dati dell’Inps e ha scoperto che se riuscirà a lavorare fino a quasi 70 anni il suo assegno di pensione sarà di circa 700 euro: “Non posso pensare di dover pesare sulle mie figlie, di dover contare sul loro aiuto per andare avanti. Mi sto guardando in giro e sto cercando di capire in quale Paese trasferirmi una volta andato in pensione. Certo, dopo una vita di lavoro pensare di avere un assegno di poco superiore a quello sociale fa davvero rabbia”.
Considerazioni a margine
Quanta sanità pubblica o privata convenzionata, cioè pagata dal pubblico, si regge su queste anomale forme di lavoro? Quanto questo incide sulla qualità del servizio erogato? Qualità del lavoro e qualità della prestazione sono strettamente legati. E tra i tre pilastri del servizio sanitario nazionale, istituito con Legge del 1978 e ancora vigore, c’è la riabilitazione.