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“Zangrillo in wonderland”, ministro della Pubblica amministrazione, ha da poco dichiarato che “dobbiamo lavorare per l’attrattività della Pa. Noi perderemo, da qui al 2032, un milione di persone che andranno in quiescenza. È un problema, ma è anche una grande opportunità”. Ha poi aggiunto che “le nuove generazioni non si accontentano del posto fisso, dobbiamo creare una pubblica amministrazione che sia capace di valorizzare il suo capitale umano”. E infine che “abbiamo bisogno di essere attrattivi anche dal punto di vista retributivo, riconoscendo il valore delle persone”.
Il ministro parla come se il dicastero responsabile non fosse il suo e come se le scelte del Governo Meloni non stiano smembrando la pubblica amministrazione. Sono anni che rivendichiamo un piano straordinario di assunzioni per far fronte al fatto che la generazione degli anni Ottanta, entrata in massa nella pubblica amministrazione, sarebbe arrivata al pensionamento in questi anni, creando un vuoto che in alcune amministrazioni è una vera desertificazione, con chiusure di sedi, uffici ed esternalizzazioni a fare da unico rimedio.
Parla di formazione, valorizzazione professionale e retribuzioni, nell’ordine tre fallimenti del suo governo. Le amministrazioni non riescono a spendere neanche l’1% di risorse contrattuali dedicate ala formazione, e il ministro, di fronte alle transizioni digitali e demografiche che cambiano il profilo dei servizi pubblici, ha emanato una “direttiva” ricca di procedure e obiettivi-target con la quale invita le amministrazioni a programmare le attività in materia senza risorse, strumenti e personali, un po’ come a dire “io ve l’ho detto, poi se non lo fate e ai dipendenti pubblici viene erogata meno di una giornata di formazione all’anno è responsabilità vostra!”.
Sul fronte della valorizzazione professionale non solo non ha rifinanziato gli strumenti che ci consentirebbero di completare la riforma dell’ordinamento, la nuova classificazione del personale e la riqualificazione, ma mortifica le lavoratrici e lavoratori con annunci roboanti su nuovi metodi di misurazione della performance.
Sempre più nella esclusività dei dirigenti e con una “direttiva sulla performance” che prelude a interventi normativi, in parte già anticipati nell’atto di indirizzo generale per i contratti e che rispolvera le vecchie pagelle in cui c’è merito e voto in condotta, con tanto di indicazione ai dirigenti di discriminare la platea dei lavoratori selezionando un 20% di super meritevoli e differenziando individualmente la performance cui è legato parte del salario accessorio e della carriera.
Last but not least, richiama il tema delle retribuzioni come strumento di attrattività del lavoro nella pubblica amministrazione soprattutto delle competenze qualificate, proprio lui che ha dichiarato che “è vero che c’è una differenza di dieci punti tra l’inflazione e quanto stanziato nella legge di bilancio (5,8%)”. Cioè un terzo, oltretutto anticipato unilateralmente dal governo con una misura spot elettorale che ha penalizzato i lavoratori, maggiorando il carico fiscale del 2023 e rendendo vuoto il tavolo del contratto anche sul titolo “distribuzione”.
Tra autonomia differenziata, interventi legislativi, tagli al salario, quello che Zangrillo e Meloni stanno perpetuando è un attacco al contratto collettivo nazionale di lavoro nel settore pubblico e alla contrattazione. Il peggior datore di lavoro del Paese è il governo, per questo non c’è alternativa alla mobilitazione con tutti coloro i quali vogliono difendere la dignità, i salari e il valore del settore pubblico.
Chi guadagna più di dieci volte quello che guadagna un’educatrice dei nidi, un assistente sociale, un operatore sociosanitario o un impiegato fa fatica a capire che circa 100 euro lordi mensili, a fronte di un’inflazione che ne ha mangiate oltre tre volte di più al mese, non ha un problema di motivazione ma di sopravvivenza.
La consunzione della pubblica amministrazione e il suo impoverimento non sono solo un problema dei dipendenti pubblici ma dei cittadini, poiché la privatizzazione e la svalorizzazione del servizio pubblico e universale, a partire dalla sanità, verrà scaricata tutta sulla qualità di vita e di lavoro delle persone. La vertenza della Funzione pubblica Cgil per un giusto rinnovo del ccnl e per assunzioni straordinarie è una battaglia per difendere la garanzia dei diritti fondamentali per tutte e tutti.
La prima parte della Costituzione cammina sulle gambe e si muove con le energie del settore pubblico, quando è per noi tutto collegato, compreso il referendum contro il disegno di autonomia differenziata che stravolge la Costituzione, ridefinisce gli assetti e i poteri istituzionali (compresa la geometria dei poteri), divide il Paese, attacca l’unità contrattuale di chi lavora per i settori pubblici.
Serena Sorrentino, segretaria generale Fp Cgil