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Poco più di un anno fa l’amministratore delegato di Whirlpool Italia annunciava la dismissione dello stabilimento di Napoli, con il conseguente licenziamento dei suoi 420 dipendenti (cui si sommano gli altrettanti lavoratori dell’indotto). Da allora è iniziata una lunga battaglia per la difesa dell’impianto e della produzione di elettrodomestici di gamma alta in Italia, che vede oggi (giovedì 22 ottobre) una giornata di capitale importanza. Al ministero dello Sviluppo economico s’incontrano governo, sindacati e azienda sulle sorti del sito campano, che la multinazionale statunitense intende chiudere sabato 31 ottobre, vertice al dicastero che i lavoratori “accompagnano” con uno sciopero generale di otto ore.
“La storia inizia nel 2015, con un primo accordo che vede la trasformazione dell’impianto di Caserta da produttivo a logistico”, spiega la segretaria nazionale della Fiom Cgil Barbara Tibaldi, anche responsabile del settore degli elettrodomestici, precisando che la reindustrializzazione del sito campano “è partita molto lentamente e molto relativamente, con la maggioranza dei lavoratori che sono in cassa integrazione”.
Scaduto il piano triennale, nell’ottobre del 2018 c’è un secondo accordo, anche questo firmato al ministero dello Sviluppo economico, nel quale “la multinazionale statunitense, a fronte dell’utilizzo di ammortizzatori sociali e di sovvenzioni da parte delle istituzioni, promette investimenti per 250 milioni di euro su tutti gli stabilimenti italiani”. Promessa non mantenuta, considerato che a metà del 2019 la Whirlpool annuncia la chiusura dell’impianto di Napoli.
“Inizia un confronto che diventa subito uno scontro, perché è del tutto inaccettabile che la multinazionale non rispetti gli impegni presi”, argomenta Tibaldi: “Una posizione che viene condivisa anche dal governo, che si schiera apertamente al nostro fianco, affermando che la vicenda Whirlpool è emblematica e riguarda l’autorevolezza dello Stato, senza però mai far seguire a queste dichiarazioni provvedimenti concreti”. Arriviamo così a oggi: “A Napoli si fabbricano lavatrici di alta gamma, produzione che Whirlpool intendeva spostare in Cina. Ma l’accordo cinese è saltato, eppure l’azienda non ha cambiato idea. Ci ha solo presentato un possibile reindustrializzatore, che però si è rivelato del tutto inconsistente”.
L’agitazione degli stabilimenti italiani ha finora prodotto decine di assemblee e ben 45 ore di sciopero, che si stanno svolgendo anche in questi giorni. “Solitamente, quando ci sono situazioni del genere, da parte degli altri lavoratori c’è sempre della solidarietà e qualche stop della produzione”, conclude la dirigente Fiom: “Ma stavolta è successo qualcosa di diverso. I lavoratori degli altri stabilimenti, ad esempio, non scioperano solo per solidarietà con i colleghi di Napoli, ma perché si rendono conto che la totale inaffidabilità dell’azienda riguarda anche loro, potrebbero anche loro rischiare il posto di lavoro perché la Whirlpool non rispetta gli impegni”.