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Rinnovare un contratto e avere 150 mila lavoratori che non ne possono godere. Sembra un paradosso ma è quello che sta accadendo nell’agroindustra, il cui accordo collettivo 2019-23 è stato siglato lo scorso 31 luglio da tra Fai Cisl, Flai Cgil, Uila Uil e Unionfood, Ancit e AssoBirra ma dal quale alcune associazioni imprenditoriali si sono sfilate. Per questo i sindacati hanno proclamato un pacchetto di quattro ore di sciopero per il 9 ottobre organizzate a livello territoriale, con presìdi e iniziative sempre a livello locale. Lo slogan scelto per la protesta è netto: #unsolocontratto.
Come ha ricordato Onofrio Rota, segretario generale della Fai Cisl e Uila Uil, nel corso di una conferenza stampa unitaria organizzata per presentare la mobilitazione, "il contratto presenta elementi importanti non solo dal punto di vista salariale, ma anche da quello normativo, come la regolazione dello smart working (con relativo diritto alla disconnessione) e del diritto alla formazione per tutti i lavoratori". Giovanni Mininni, segretario generale della Flai Cgil, ha sottolineato come nelle assemblee che si stanno svolgendo il consenso tra i lavoratori tocca il 98 per cento, anche nelle aziende iscritte alle associazioni che non hanno aderito. "Non solo – ha aggiunto il sindacalista –: ogni giorno aumentano le imprese che decidono di accogliere il contratto. Questo a dimostrazione, come diciamo da tempo, che il rinnovo è assolutamente sostenibile e che inasprire uno scontro per un aumento salariale che ci sarà solo nel 2023 non conviene neanche a loro".
I sindacati hanno anche annunciato il prolungamento dello stato di agitazione (blocco di flessibilità, straordinari e prestazioni aggiuntive) fino al 9 novembre. "Dopodiché – ha spiegato Stefano Mantegazza, segretario generale di Uila Uil – se non avremo ottenuto risultati proclameremo uno sciopero nazionale di otto ore, con manifestazioni in 20 città italiane collegate tra di loro in streaming".
Lo stato di agitazione è cominciato il 24 agosto con il blocco di flessibilità, straordinari e prestazioni aggiuntive. La partita ha dei risvolti politici evidenti, viste la recente offensiva sul piano dei contratti del neo-presidente di Confindustria, Carlo Bonomi. D’altro canto sono state proprio le pressioni di Confindustria a far sfilare dall’accordo dieci associazioni di settore (tra cui Federalimentare) e, approfittando di questa spaccatura è stato lo stesso Bonomi, nelle settimane scorse, a inviare a queste associazioni una lettera il cui fine era proprio quello di rimettere in discussione il contratto firmato. L'obiettivo, si legge nel testo, è quello di "discutere le iniziative e le soluzioni possibili per le imprese del settore" a fronte del fatto che "le organizzazioni sindacali firmatarie di quell'intesa, approfittando di questa situazione di indeterminatezza, non paiono intenzionate ad avviare ulteriori tavoli negoziali e, almeno stando alle dichiarazioni rese alla stampa e confermateci dai segretari generali delle loro confederazioni, ribadiscono che l'intesa del 31 luglio 2020 è da considerarsi l'unico contratto nazionale possibile del settore dell'industria alimentare''.
Insomma: sconfessare il contratto firmato dopo nove mesi di trattative difficili e arrivare a un secondo accordo che sarà evidentemente penalizzante per i lavoratori. Ma la manovra non è così semplice, neanche sul fronte imprenditoriale: queste fillibrazioni stanno scontentando molte aziende del settore, soprattutto, come detto, quelle più esposte alla concorrenza internazionale, per le quali un buon contratto nazionale è invece garanzia per un lavoro produttivo e di qualità. Tra chi ha aderito al contratto ci sono nomi importanti del comparto: Campari, Fontanafredda, Citterio, Hag Splendid, gruppo De Cecco, Acqua Sant’Anna, Ferrero, Danone, Lavazza.
Tocca ora ai lavoratori far sentire la propria voce: dire di no con forza all’ipotesi di un contratto separato, triste ricordo nella storia abbastanza recente del movimento operaio e di cui, in una fase difficile come quella attuale, non si avverte alcun bisogno.