(Pubblichiamo un estratto, in parte rielaborato, dal Manuale Cgil su Intelligenza artificiale e lavoro di prossima uscita. Il manuale è frutto della collaborazione tra l’Ufficio Lavoro 4.0, l’Area Internazionale e l’Area della Contrattazione della confederazione)

La digitalizzazione della produzione determina una nuova forma di coesistenza tra lavoro e tecnologia. I lavoratori e le lavoratrici si trovano a contatto con macchine anche estremamente sofisticate. Il lavoro digitale, di conseguenza, obbliga a riflettere sull’impatto della tecnologia digitale sulla salute e sicurezza.

Prendiamo un settore emblematico come quello della logistica dei magazzini, dove si vanno diffondendo anche mezzi di lavoro automatizzati, quali droni, mezzi di trasporto privi di guidatore, esoscheletri. Questi ultimi (robot indossabili o portatili, a motore o idraulici, che supportano o aumentano la forza umana) sono considerati fondamentali per superare il problema dei disturbi all’apparato muscolo scheletrico connesso alla movimentazione dei carichi. Tuttavia recenti studi hanno evidenziato come essi pongano anche nuove sfide in termini di protezione della salute e sicurezza del lavoro, sia per i rischi connessi alla redistribuzione dello sforzo su altre parti del corpo, sia per l’impiego dei loro motori. Si discute tuttora se gli esoscheletri vadano qualificati come mezzi di lavoro o come dispositivi di protezione individuale (Dpi), e dunque di quali tipi di tutele e certificazioni siano necessarie: se debba applicarsi la Direttiva 2006/42 (macchine) o il Regolamento (Ue) 245/2016 e la Direttiva 89/686 sui Dpi (aggiornata dalla Direttiva 2019/1832) (EU-Osha 2019, 7).

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L’introduzione delle nuove tecnologie non elimina i rischi per la tutela della salute e sicurezza. Piuttosto essa sembra modificare i fattori di rischio, ponendo altresì sotto tensione la disciplina giuridica

È inoltre necessario riflettere sugli intrecci che l’introduzione di nuove tecnologie crea tra le istanze di tutela della salute e le funzioni di controllo sui lavoratori. Non sono pochi i dispositivi e le attrezzature di lavoro che sono utilizzate a questo fine, anzitutto per allertare il lavoratore in caso di errore, o per localizzarlo in situazioni di emergenza, oppure per allertare il supervisore nel caso in cui il lavoratore non indossi i Dpi. Sistemi di questo genere possono evidentemente prestarsi anche a forme di controllo intensificato sullo svolgimento della prestazione.

Laddove le soluzioni tecnologiche siano inserite in un sistema di organizzazione del lavoro governato da algoritmi e dalla forte integrazione tra intelligenza umana e intelligenza artificiale (IA), ci si deve chiedere non solo come siano esercitati i poteri del datore di lavoro (chi assegna le mansioni, chi definisce e controlla il modo in cui le macchine interagiscono con l’essere umano), ma prima ancora se in tale interazione siano considerate le misure di sicurezza. Occorre, in particolare, tenere conto delle tecnologie impiegate anche nella valutazione dei rischi e assicurare che i soggetti responsabili per la sicurezza del lavoro (datore di lavoro in primis, ma anche gli addetti al servizio di prevenzione e protezione) possano agire sui meccanismi di IA adeguandoli alle esigenze prevenzionistiche.

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Nell’industria 4.0 le mansioni del lavoratore non vengono meno, ma sono svolte in un’organizzazione tecnologica evoluta, in correlazione (anche giuridica) con la macchina intelligente. Il lavoratore in molti casi coadiuva la macchina intelligente; in altri, la macchina intelligente coadiuva il lavoratore, coordinandone le attività; in altri casi, la macchina svolge ciò che il lavoratore non è più capace di fare; in altri contesti, il lavoratore svolge attività che la macchina non sa ancora fare.

Occorre risolvere il problema della relazione giuridica tra macchina intelligente e lavoratore: se la macchina coordina il lavoratore, si può dire che esiste un datore di lavoro “algoritmico”? Il datore di lavoro algoritmico può dare al lavoratore ordini e istruzioni? Può controllarlo?

Quando quelle utilizzate dall’impresa sono macchine dotate di IA (“macchine intelligenti”), la questione della tutela della persona si pone su un piano assai delicato: quello del controllo del lavoratore da parte di una macchina che, per poter funzionare, deve acquisire dati che derivano proprio dall’attività del lavoratore. Ciò significa che IA e dipendenti devono interagire tra loro e, nell’ottica del machine learning, che l’attività dei dipendenti rappresenta quel substrato di dati da cui dipende l’operatività dell’IA. Perciò vi è chi ritiene che l’uso dell’IA come strumento di lavoro o integrativo del lavoro dei dipendenti richieda necessariamente l’osservazione (quale fonte di acquisizione di dati) degli stessi; ma osservare l’attività dei lavoratori, nel nostro ordinamento giuridico, significa controllarla.

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Poniamoci ora un quesito: nel nostro ordinamento è lecito usare un algoritmo per valutare la performance del lavoratore e quindi impiegarlo come meglio si conviene alla sua capacità? Si può affidare ad una macchina l’elaborazione delle informazioni dei dipendenti rilevanti ai fini del loro corretto impiego nell’organizzazione dell’impresa, seguendo un approccio basato sulla performance?

L’ordinamento non sembra consentire la tenuta di questa condotta, non ammettendosi che la macchina possa operare sull’attività dei lavoratori un controllo diretto a distanza. Ove anche si ammettesse un controllo diretto dell’attività dei lavoratori da parte dell’algoritmo applicato alla gestione del, occorrerebbe fare i conti con le regole apprestate dal Regolamento n. 679/2016, che disciplina il trattamento dei dati personali, stabilendo come le informazioni relative al lavoratore interessato debbano essere trattate.

In particolare deve qui essere richiamato quanto specificato dall’articolo 22, comma 1, del Regolamento n. 679/16, secondo cui l’interessato ha il diritto di non essere sottoposto a una decisione basata “unicamente” sul trattamento automatizzato - profilazione compresa - che produca effetti giuridici che lo riguardano oppure incida in modo analogo significativamente sulla sua persona. Dunque i dubbi maggiori si hanno sulla possibilità di utilizzare una procedura automatica all’interno del rapporto di lavoro.

Il dominus del provvedimento che estrinseca il potere direttivo del datore di lavoro deve essere sempre la persona umana. Una persona in grado di comprendere la (e quindi intervenire sulla) soluzione adottata dalla macchina. Questa è niente di più che uno strumento per velocizzare il lavoro dell’essere umano e quindi al servizio del datore di lavoro e non in sostituzione di questo.

A cura dell'Ufficio Progetto Lavoro 4.0 Cgil