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È di questi giorni la pubblicazione del rapporto annuale del Garante della Privacy e la presentazione della stessa al Parlamento. Il Garante, Pasquale Stanzione, ha delineato un quadro molto netto sugli effetti della trasformazione digitale e ha voluto, già in premessa della sua relazione alla Camera, sottolineare come il diritto alla privacy sia un requisito sia di libertà che di democrazia, perché di fatto consente di contemperare il giusto equilibrio tra pubblico e privato. Ma soprattutto ha posto l’accento su quanto la tutela di questo diritto sia funzionale ad orientare l’innovazione, fornendole un governo antropocentrico.
Dunque, così come da tempo sostiene la Cgil, il punto di analisi delle implementazioni tecnologiche, anche da questo osservatorio, indica senza dubbio la necessità di un governo che indirizzi la tecnologia ad esclusivo vantaggio dell’umanità. Il Garante richiama con nettezza il grave rischio di accentramento di poteri in capo alle grandi piattaforme: potere che definisce non più solo economico ma “performativo, sociale, persino decisionale” che arriva a permeare il “caporalato digitale”. Una pratica di sfruttamento dei lavoratori questa, contro cui il sindacato si batte da tempo, come dimostrano i diversi provvedimenti giudiziari in materia, ma che necessita di una regolamentazione chiara e ultimativa. In questo senso, dunque, le affermazioni del Garante risultano ancora più importanti perché indicano come anche l’esercizio della tutela del diritto alla privacy sia una strada da percorrere per impedire lo sfruttamento.
Se infatti è ormai indiscutibile quale ruolo abbia la protezione dei dati di cittadini e cittadine nell’ambito di un sistema capitalistico di natura estrattiva, protezione offerta in Europa dal Gdpr (Regolamento privacy) che si inserisce in un quadro di regolamentazione europea più ampia per regolare il mercato, nell’ambito strettamente lavorativo il tema va posto con gran forza.
Come si legge nel rapporto annuale, infatti, l’Autorità è stata chiamata spesso a pronunciarsi, in questo anno così segnato dall’accelerazione di applicazioni tecnologiche determinate dalla crisi pandemica, sulle condizioni di liceità dei trattamenti dei dati personali dei lavoratori, fossero essi effettuati per finalità di prevenzione della diffusione del Covid-19 in ambito lavorativo o mediante dispositivi di video sorveglianza o dispositivi tecnologici utilizzati per rendere la prestazione lavorativa. In proposito per quest’ultima specifico fattispecie il Garante ha ribadito che "la protezione della vita privata si estende anche all’ambito lavorativo, come più volte stabilito dalla Corte europea dei diritti dell’uomo che ritiene applicabile l’art. 8 della Convenzione europea senza distinguere tra sfera privata e sfera professionale”.
Dunque, nell’elencazione dei vari pronunciamenti del Garante, risaltano posizioni nette che rimandano alle normative vigenti e sottendono la volontà di tutelare il diritto alla protezione dei dati personali quale elemento fondamentale di tutela della dignità dei singoli: una dignità che il Garante richiama come valore costituzionale che permea di sé il diritto positivo”.
In questo senso anche la prima decisione del Garante riguardante nello specifico i rider: decisione che commina una sanzione di 2,6 milioni di euro ad una piattaforma del gruppo Glovo, la società Foodinho, che dovrà “modificare il trattamento dei dati dei propri rider - effettuato tramite piattaforma digitale - e verificare che gli algoritmi di prenotazione ed assegnazione degli ordini..non producano discriminazione”. Decisione assunta peraltro dopo un'istruttoria svolta in sinergia con il garante spagnolo, a dimostrazione che a partire dallo spazio europeo sia sempre più necessaria una collaborazione tra i diversi Paesi per riaffermare principi e difendere diritti.
Proprio in quest’ottica si inserisce l’attenzione che la Cgil presta al tema della protezione ed al governo dei dati, a partire dalla richiesta più volte avanzata che i dati dei cittadini e delle cittadine, a partire da quelli generati nel rapporto con la pubblica amministrazione, possano vedersi riconosciuto lo status di beni comuni, fino a chiedere che se ne garantisca, ovunque siano prodotti, la loro trasparenza e interrogabilità ai fini di interesse pubblico
La nostra attenzione e le nostre frequenti elaborazioni critiche sui processi di implementazione tecnologica, per i quali richiediamo un ruolo pubblico di indirizzo e un ruolo pubblico forte nella gestione e nel governo dei dati generati, sono una rivendicazione chiara che mira ad arginare quello che lo stesso Garante riconosce come un accentramento di potere in mano a pochi grandi players decisamente pericoloso.
Dunque, anche in ambito strettamente lavorativo, riteniamo che sia necessario ribilanciare quell'asimmetria tra datore di lavoro e lavoratori che le implementazioni tecnologiche deregolamentate rischiano di approfondire. Non ci sfugge infatti che sono molti i settori produttivi in cui già oggi l’organizzazione del lavoro è data driven, ossia modellata da informazioni utilizzate per gestire diverse fasi del rapporto di lavoro. Questi modelli si nutrono anche dei dati rilasciati dai lavoratori in occasione della prestazione lavorativa. Se dunque, come sosteniamo, è necessario dare attuazione al Regolamento europeo sulla privacy laddove rimanda alla competenza degli Stati membri l’introduzione di norme nazionali più specifiche che possano meglio tutelare il diritto alla privacy in ambito anche lavorativo (art 88), è con la contrattazione che vogliamo tutelare questo diritto.
Il Garante, nel richiamare il caporalato digitale, richiama i lavoratori della gig economy e lo sciopero tutto italiano contro l’algoritmo. Di questi giorni è la sentenza che condanna Deliveroo per condotta antisindacale nell’applicazione del contratto sottoscritto con Ugl: sentenza che segue quella per discriminatorietà dell’algoritmo, a prova che esistono norme cui ci si può richiamare per ricondurre anche le piattaforme a una regolamentazione corretta e all’obbligo di rispetto dei diritti di lavoratrici e lavoratori.
In quest’ambito di rivendicazione e necessità di regolamentazione, non abbiamo dubbi sul fatto che il tema del controllo dei dati, della loro protezione, anonimizzazione, classificazione, utilizzo, sia diventato tema centrale anche per la negoziazione sindacale.
Mentre il Gdpr impone il Data Protection Office, cioè una figura di controllo aziendale che deve vigilare e offrire consulenza sull’operato del titolare del trattamento oltre che interfacciarsi proprio con il Garante in caso di ispezioni, parimenti noi riteniamo necessario il riconoscimento in capo alle rappresentanze delle lavoratrici e dei lavoratori di un pari diritto di controllo, che vada dalla tipologia dei dati raccolti, alle modalità stesse di raccolta e di archiviazione, fino alle modalità e alle finalità del loro utilizzo.
I diritti di informazione e consultazione sono la base delle corrette relazioni industriali e, oggi come ieri, fondamentali e imprescindibili per l’esercizio dei diritti sindacali. Non possiamo consentire che un utilizzo improprio e libero da vincoli dei dati alimentatii in modo opaco algoritmi e piattaforme che si presentano come infallibili succedanei dei datori di lavoro. La lettura della relazione del Garante ci conforta della appropriatezza delle nostre analisi e della giustezza del percorso intrapreso.