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Nel rispetto assoluto di quanto deciso dalla Corte di Cassazione sulla riformulazione delle condanne dei responsabili per la strage di Viareggio del giugno 2009, non se ne possono tacere gli aspetti inquietanti. In Italia, tutta l'architettura normativa in materia di sicurezza sul lavoro che si è sviluppata dal 1947 a oggi, con la definizione conclusiva del dlgs 81/2008 che tutela la sicurezza e la salute dei lavoratori anche con il supporto di tante sentenze della stessa Corte di Cassazione, ha il suo fondamento in ben precisi e chiari articoli della Costituzione Italiana e del codice civile.
L'articolo 41 della Costituzione, pur dichiarando che l'attività economica è libera, afferma che questa non può essere in contrasto con l'utilità sociale o in modo da arrecare danno alla sicurezza e ancora l'art. 2087 del codice civile dichiara testualmente: “L'imprenditore è tenuto ad adottare nell'esercizio dell'impresa le misure che secondo le particolarità del lavoro, l'esperienza e la tecnica sono necessarie a tutelare l'integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro”. Dunque si affermano i principi rilevanti per cui l'azienda non è indifferente a fronte di lesione o morte di lavoratori, anzi chi la dirige o la rappresenta è responsabile, non perché eventualmente ha agito con dolo ma perché non ha agito correttamente: tanto è vero che il codice di procedura penale distingue tra l'eventuale accusa di omicidio volontario al datore di lavoro, quando si può dimostrare il comportamento doloso di questi e quello colposo, quando si accerta la sola negligenza nel comportamento del capo azienda.
Come si può dichiarare nella sentenza che il reato di omicidio colposo decade e si prescrive quando tutte le perizie hanno dimostrato l'assoluta negligenza e disinteresse dei responsabili di Trenitalia e Rft di predisporre le necessarie azioni di prevenzione e dunque il reato di omicidio colposo plurimo è ben accertato? Questa sentenza non solo non rende giustizia ai parenti delle 37 vittime, ma se non sarà corretta da successive sentenze della stessa Corte avrà l'effetto dirompente di rendere gli imprenditori e i capi delle aziende non più responsabili per comportamenti non corretti per le violazioni delle norme sulla sicurezza, salvo che nel caso di comprovato comportamento doloso; che è sempre difficile da provare.
Purtroppo anche questa sentenza dimostra che la sensibilità e l'attenzione della magistratura giudicante, nel rendere esigibili i diritti delle persone e dei lavoratori, sta declinando a favore dei diritti del mercato e dell'impresa e dell'impunità di chi ne è responsabile. Come è stato anche nella conclusione del processo per la tragedia della Lamina a Milano, dove morirono quattro lavoratori e dove gli imprenditori responsabili patteggiarono e finendo per non scontare alcuna pena.
Deve essere riaffermato ancora con più forza il sostegno all'impegno dell'associazione dei parenti delle vittime per avere giustizia. Ma soprattutto è ora di ripartire per richiedere che il Parlamento legiferi normative più stringenti sulle responsabilità degli imprenditori e dirigenti d'impresa dai comportamenti inadempienti, non rispettosi dei diritti e delle vite delle persone e dei lavoratori. Oltre a questo resta essenziale il livello di attenzione dei lavoratori - delle Rsu e degli Rls - per garantire la prevenzione in tutti i luoghi di lavoro, con l'attuazione piena delle norme in materia di sicurezza e di tutela della salute: si difendono e si migliorano meglio i diritti e le tutele quando le persone e i lavoratori credono in queste idee e si impegnano a realizzarle.
Maurizio Marcelli è stato responsabile salute, ambiente e sicurezza della Fiom