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Ancora una volta, a un mese circa dall’apertura del nuovo anno scolastico, si torna a parlare di un ulteriore carico di insegnanti supplenti, quindi precari. I dati parlano di un incremento del 72% in sette anni: si è passati dai 132 mila supplenti dell’anno 2017/2018 a 232 mila dello scorso anno, mentre un nuovo boom è previsto per il 2024/2025, quando presumibilmente si toccherà quota 250 mila.
Risposte inesistenti
Manuela Calza, segretaria nazionale della Flc Cgil, ci ricorda che “il problema, come evidenziano i dati, non solamente non viene risolto, ma peggiora di anno in anno” e che ciò “è determinato da errori e scelte politiche di reclutamento e di formazione iniziale che non sono organici e stabili nel tempo”. “Ogni governo – prosegue -, da molti anni, ha tentato di modificare questo aspetto senza trovare mai delle soluzioni efficaci che rispondano realmente alle aspettative legittime di centinaia di migliaia di lavoratori e lavoratrici e nemmeno ai bisogni di stabilità della scuola”.
Calza espone quindi i motivi di tale situazione, primo fra tutti “il fatto che la formazione iniziale e anche i concorsi che si sono fatti in questi anni spesso non hanno tenuto conto del reale fabbisogno delle scuole. Si sono create delle situazioni a macchia di leopardo sul territorio nazionale e così ci sono regioni dove le graduatorie sono molto ricche e regioni dove sono incapienti o esaurite, soprattutto per alcune materie e alcuni ordini di scuola”.
Ciò accade nonostante i tantissimi concorsi che ci sono stati dal 2016 ad oggi e infatti, afferma la segretaria Flc, “vi è un disallineamento tra le assunzioni programmate, il contingente autorizzato, e quelle che sono poi le assunzioni effettive che vengono fatte, come dimostrano i dati sopracitati”.
Per il sostegno ancora peggio
C'è poi un altro elemento: “A nostro parere è molto grave che si voglia mantenere nella precarietà una larga fascia dei posti soprattutto per gli insegnanti di sostegno – ci dice -, determinando così una differenza tra l'organico di diritto, che è costituito dai posti stabili su cui si fanno le assunzioni, e l'organico di fatto o quelli che per il sostegno si chiamano posti in deroga e che dovrebbero essere determinati dalle esigenze che sopravvengono in corso d'anno o dopo la determinazione dell'organico di diritto, ma che in realtà rimangono quasi invariati”.
Calza ci fa sapere che negli ultimi anni “i posti assegnati in deroga sul sostegno hanno ormai superato quelli che sono in organico di diritto: soltanto per il sostegno noi parliamo di 130 mila posti ogni anno che vengono assegnati in deroga sui quali quindi non si possono fare assunzioni perché, per definizione, sono a tempo determinato e rendono questo settore il più precario di tutto il sistema scolastico”.
Poi ci sono altre elementi che intervengono. Uno è il contingente di assunzioni autorizzato che è inferiore rispetto al numero di posti effettivamente liberi e vacanti: “L'anno scorso – afferma la sindacalista – sono state autorizzate le assunzioni su oltre 80 mila posti liberi e vacanti, quest'anno 45 mila su circa 65.000 posti liberi e vacanti. Anche questa è una scelta che determina poi larghe fette di precarietà”.
Mancano progettualità, risorse e valorizzazione del lavoro
Inoltre spesso non si riescono a fare le assunzioni per mancanza di una programmazione dei concorsi, di docenti abilitati, o soprattutto di docenti specializzati, “perché anche la formazione iniziale rappresenta un grave un deficit per quello che riguarda la risposta al fabbisogno delle scuole”.
La scuola si trova in queste condizioni ormai da molti anni e si continua a parlare di percentuali altissime di precariato con la conseguenza che non si riesce a dare una prospettiva progettuale: “Nel campo dell'insegnamento, ma in generale in tutte le attività scolastiche, la progettualità è invece un valore aggiunto che non si può realizzare con personale che viene ogni hanno assunto il primo settembre e licenziato il 30 giugno, con un cambiamento di posto, di contesto e molto altro”.
“Io penso – continua Calza – che in tutti i lavori, ma nel campo dell'educazione ancora di più, il buon lavoro vada di pari passo con la qualità dell'offerta formativa. Dal punto di vista economico, invece, sicuramente ci sono rinnovi contrattuali che non sono mai all'altezza dei costi della vita. Rispetto al contratto che dovrà essere rinnovato, e sul quale siamo già in ritardo, lo stanziamento di risorse è assolutamente insufficiente rispetto all'adeguamento al costo della vita e dell'esigenza di valorizzazione di queste professionalità”.
“Complessivamente – conclude – direi che numerosi interventi normativi e ingerenze anche in campo, non solo contrattuale, ma anche della libertà di insegnamento e dell'autonomia scolastica tendono a svilire una situazione che invece andrebbe adeguatamente valorizzata perché quelle della scuola sono professioni su cui si costruisce l'idea di società e del futuro del nostro Paese, mentre al contrario, insieme a quello medico, quello dell’istruzione rimane il settore più depresso”.