La chiave di ingresso è un film: si chiama I quindici del Birrificio Messina e l’ha girato il regista Alessandro Turchi. Un documentario di 70 minuti che inizia ora il suo percorso, con la proiezione di domenica 26 gennaio al Cinema Barberini di Roma alle ore 12 (qui le prenotazioni). Ma questo è solo il primo passo, che serve a diffondere e celebrare una storia di lavoro virtuosa, resa possibile nell’Italia di oggi e che assume il valore di esempio: quella del Birrificio Messina, salvato dai lavoratori che hanno mantenuto l’attività grazie alla loro Cooperativa (qui la cronologia sul sito ufficiale). Un’esperienza che nel 2024 ha compiuto dieci anni e viene giustamente “festeggiata” nel film.

Il momento della chiusura

L’abbiamo ripercorsa proprio col regista, che per anni ha seguito lo sviluppo della vertenza. Alessandro Turchi comincia così: “Questa storia ha colpito fortemente la mia città, Messina: è una storia che riguarda gli ex lavoratori e lavoratrici della Birra Messina, ossia lo stabilimento che per tutti noi ha un’importanza fondamentale. La vicenda inizia quando i proprietari storici decidono di passare la mano, dopo varie peripezie, e vendono il sito alla Heineken, in seguito torna ai vecchi proprietari che però comunicano l’intenzione di non voler portare avanti il birrificio per un progetto di tipo immobiliare, insomma costruire palazzi”.

L’inizio della mobilitazione

A quel punto i lavoratori si ritrovano senza impiego: “La Heineken ha ceduto – ricorda il regista – proponendo loro di trasferirsi in altre fabbriche, lontane però da Messina: la maggior parte ha accettato, ma uno zoccolo duro ha scelto di resistere. Va sottolineato – a questo punto – che il Birrificio ha proprio un’importanza storica, alcuni addetti sono arrivati perfino alla quarta generazione, già i loro nonni facevano la birra. Insomma, non era facile lasciare”.

Così inizia la grande lotta dei lavoratori, di cui abbiamo le tracce nelle cronache di questi anni. “All’inizio in 42 hanno resistito dando vita alla mobilitazione: è stato allestito un presidio permanente con una tenda fuori dallo stabilimento, che è durato un anno con ogni condizione climatica, dalla pioggia alla neve”.

L’idea di fare un film

Qui germoglia l’idea di seguire la storia in video, vista l’importanza sempre crescente che assume la vertenza. “Io sono un videomaker del collettivo Space Donkeys – dice Turchi -, coi miei colleghi Morgan Maugeri e Monia Alferi ci siamo lanciati dentro la storia. Eravamo attivisti del Teatro Pinelli occupato. Io non mi definisco certo un artista, ma sono interessato sia all’arte che alla politica: nel corso del tempo abbiamo seguito tutte le vertenze sul territorio, ma questa ci ha davvero squarciato, era troppo importante e non potevamo non raccontarla”.

Cosa succede allora? “Prima come attivisti siamo stati al presidio, alla raccolta firme, poi ci siamo chiesti come potevamo aiutare i lavoratori più di così: la nostra unica arma era una videocamera. All’epoca loro avevano appena ottenuto i capannoni ed eseguito i lavori di ristrutturazione: il mio film infatti inizia proprio con la ristrutturazione, perché come si vede i lavoratori hanno fatto tutto da soli”.

La svolta dei 15 birrai

Poi c’è stata una lunga trafila per ottenere i finanziamenti: “L’obiettivo era mantenere aperto il birrificio, prima è arrivato un piano industriale di due milioni che poi è salito a tre milioni, vista l’ampia richiesta che arrivava dalla città. Da parte nostra, li abbiamo seguiti in tutti questi anni, sperando che si arrivasse a un lieto fine: alla fine è successo davvero, perché 15 mastri birrai hanno rimesso in piedi lo stabilimento e subito iniziato a produrre di nuovo”.

La risposta è stata clamorosa. “Ci sono state richieste da tutta Italia ma non solo: anche da vari luoghi del mondo, da parte di messinesi emigrati che chiedevano di continuare a bere la loro birra”. L’anno scorso l’impresa ha compiuto dieci anni e continua ad evolversi: “L’organico è stato raddoppiato – riferisce Turchi -: i birrai erano partiti in quindici, ora sono più che raddoppiati, prima hanno assunto i loro figli e poi anche gli altri, creando posti di lavoro per tutta la città”.

Le voci e i volti nel doc

Cosa si vede nel film? “Si parte dai capannoni e si arriva alla ripresa dell’attività. Tutto viene raccontato dalle voci dei lavoratori che ricostruiscono la vicenda. Insieme a loro ci sono le testimonianze dei figli, grandi e piccoli, perché tutti portano i segni di questa storia. C’è poi l’intervento della Cgil locale che ha avuto un ruolo importante nella soluzione della vertenza. Infine, abbiamo interpellato anche alcuni esperti di economia, sociologia e lavoro che commentano la vicenda dal punto di vista degli studiosi”.

Ma la chiusura è sempre per i quindici protagonisti, che col gesto di resistenza permettono ancora oggi di continuare a spillare la Birra dello Stretto. Conclude Turchi: “I loro volti sono la cosa più bella del documentario”. Buona visione.