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Doveva essere una giornata da segnare sul calendario, una vera e propria giornata di festa per quanti per anni hanno pulito e sanificato le scuole del nostre Paese lavorando in appalto. E doveva essere una giornata di festa anche per le organizzazioni sindacali che da tempo si battevano per l’internalizzazione di questi 16 mila lavoratori e lavoratrici. Così non è stato o meglio così non è stato per tutti e tutte. In 4 mila non solo non hanno firmato il nuovo contratto, ma sono addirittura rimasti a casa, senza lavoro e senza stipendio.
Cinzia Bernardini, segretaria nazionale della Filcams Cgil, ci spieghi cosa è successo e il perché di questa festa mancata?
Oggi si è scritta davvero una brutta pagina per il mondo del lavoro. Quando il 31 dicembre del 2018 l’allora governo emanò un provvedimento per l’internalizzazione degli addetti alle pulizie nelle scuole, lo fece senza il confronto con le organizzazioni sindacali, come per altro allora d’abitudine per il Movimento 5 stelle, così commettendo gravi errori. Fin da subito denunciammo che, per come era scritto il decreto, per come erano definiti i criteri per l’assunzione diretta, si sarebbero create esclusioni importanti. Lo abbiamo detto, lo abbiamo scritto, abbiamo scioperato. Ad agosto abbiamo finalmente ottenuto un confronto con il nuovo governo che ha portato ad alcune modifiche rispetto al provvedimento iniziale; modifiche positive ma non sufficienti. Dieci anni di anzianità, un titolo di studio e l’assenza di carichi pendenti sono requisiti troppi stringenti. Non ci hanno dato retta e questi sono i risultati. Lavoratori e lavoratrici che fino a venerdì scorso hanno pulito le scuole con professionalità conquistando la fiducia di genitori, insegnanti e dirigenti scolastici, oggi sono a casa. È inaccettabile.
È certamente vero che questo provvedimento è il frutto di un dispositivo legislativo voluto dal governo gialloverde. Ma è altrettanto vero che da anni la Filcams insieme alle altre organizzazioni sindacali si è battuta per l’internalizzazione. Una battaglia di civiltà. Vogliamo ricordare la differenza tra il lavoro in appalto e quello diretto?
La gran parte di queste 16.250 persone era a tempo indeterminato presso le aziende. Però, a differenza da chi è assunto direttamente dalla scuola, quando l’istituto è chiuso – d’estate e non solo – fa i periodi di sospensione. Che significa sospensione anche dal salario e dai contributi. C’è un’altra differenza importante: la scuola, il Miur, è un datore di lavoro affidabile che paga regolarmente stipendio e contributi. Non tutte le aziende sono così puntuali e affidabili. Ci sono casi recenti a Roma e in Campania di aziende debitrici di 7-8 mesi di remunerazione ai propri dipendenti. E non solo, gli appalti scadono, è ormai consueto che le nuove gare vengano fatte con ribassi importanti che ovviamente sono scaricati sui lavoratori. Insomma per i 12.250 che da oggi sono entrati a far parte dei dipendenti della scuola c’è la stabilizzazione, ma c’è anche la sicurezza di non essere più succubi di queste dinamiche tipiche del mondo degli appalti. Poteva essere un fatto epocale ma lascia a casa 4 mila persone. Questo è un vulnus che va assolutamente sanato.
Veniamo al vero scandalo. Visto che fino a due giorni fa hanno lavorato, se per i 4 mila esclusi non si è trovata una soluzione, sorge il dubbio che il loro lavoro non servisse...
Il paradosso è questo. I posti lasciati liberi da quanti non avevano i requisiti per far parte di questo processo, sono coperti con supplenti Ata. Insomma, lavoratori precari sostituiscono lavoratori che fino a oggi avevano un’occupazione stabile, ancorché in appalto. Sarebbe stato serio e di buon senso cercare soluzioni, magari temporanee, lasciare in servizio chi fino a oggi ha lavorato nell’attesa di una soluzione positiva e definitiva per tutti.
Allora veniamo al che fare. Come si muoverà la Filcams Cgil per non lasciarli soli?
Noi andiamo avanti, abbiamo reiterato al ministero dell’Istruzione e alla presidenza del Consiglio la richiesta di un incontro e di un confronto. Il governo deve farsi carico di questo dramma sociale. Purtroppo ci sono tante crisi aziendali nel nostro Paese, tutte agli onori della cronaca, tranne questa praticamente invisibile per il mondo dell’informazione. Per il 3 marzo è convocato unitariamente dai sindacati del Lazio un presidio davanti al Parlamento, e in questi giorni in tutte le regioni verranno organizzate iniziative per chiedere che riparta il confronto. E voglio ricordare che da un punto di vista pratico questi lavoratori non sono neanche licenziati, perché le imprese, in maniera assolutamente colpevole, hanno inviato non lettere di licenziamento che avrebbero consentito di avviare le pratiche per la richiesta dell’indennità di disoccupazione, ma lettere di sospensione per non versare la quota di Naspi a loro spettante. Non abbiamo alternative che andare avanti finché non verrà trovata una o più soluzioni per tutti. L’obiettivo finale è che nessuno venga escluso, che nessuno rimanga solo.