La Corte Suprema di Londra ha stabilito che gli autisti dell’app Uber devono essere considerati dipendenti a pieno titolo, con diritto a ferie retribuite, malattie e a un salario minimo. La decisione respinge l’appello del colosso californiano di taxi low cost che finora invece pagava a prestazione. Per la legge inglese, ha dichiarato il giudice George Leggat, “è necessario fornire certe protezioni a individui vulnerabili che hanno poco o per nulla potere nelle trattative riguardo le loro condizioni di lavoro".

Da lavoratori occasionali a parasubordinati: è questa la rivoluzione imposta a una delle app simbolo della gig economy. Tutto è nato da due autisti che avevano denunciato la loro condizione ormai cinque anni fa e ai quali, in ogni grado di giudizio, i tribunali inglesi hanno dato ragione fino ad arrivare a questa sentenza definitiva che interessa 45mila addetti nella sola Londra e 60mila in tutto il Regno Unito.

Il caso, oltre a fare scuola, potrebbe però spingersi oltre. Dalla prima reazione dei vertici di Uber pare infatti che l’azienda voglia applicarla solo a un gruppo di autisti, quelli che erano in servizio già dal 2016, aprendo così la via a un lungo contenzioso legale. La vittoria per i lavoratori resta comunque indiscussa.