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Cause pilota nei tribunali per contestare il contratto pirata firmato da Assodelivery e Ugl e chiederne la nullità. Richiesta di un confronto con le associazioni datoriali per discutere e cambiare il contenuto dell’accordo collettivo. Sollecitazione al ministero del Lavoro perché si riapra il tavolo di trattativa e discussione, bruscamente interrotto. Sulla partita dei rider e del contratto truffa che entra in vigore il 3 novembre e che peggiora condizioni, tutele e retribuzione dei lavoratori, la Cgil e i sindacati di categoria Nidil, Filt e Filcams stanno seguendo tutte le strade possibili. Quella giudiziaria e quella del dialogo, per arrivare a un unico risultato: smontare l’accordo e trovarne un altro che sia migliorativo e garantisca tutti quei trattamenti a cui ognuno di noi ha diritto, tredicesima, quattordicesima, integrazione maternità, ferie, permessi, malattia.
Nel frattempo, però, il ricatto è scattato come una tagliola. Dal 3 novembre chi non aderisce al nuovo contratto, verrà buttato fuori dalle piattaforme, cioè sarà licenziato perché non gli verranno più attribuiti turni di lavoro. “L’indicazione che abbiamo dato ai lavoratori non è stata quella di non aderire – spiega Tania Scacchetti, segretaria confederale della Cgil -. Anche perché abbiamo verificato che le cause individuali si possono attivare anche successivamente all’adesione. Resta il fatto che l’atto delle aziende è provocatorio e ricattatorio perché vincolano la possibilità di dare continuità al rapporto di lavoro all’accettazione del contratto collettivo”.
Le cause sono importanti perché rispondono a un attacco senza precedenti. Sono uno strumento di tutela forte per il lavoratore. Ma sono anche un mezzo per riportare nel giusto binario la discussione e il confronto con la controparte, le piattaforme. Perché non è accettabile che si legittimi il rapporto di lavoro autonomo per lavoratori che autonomi non sono, e non è accettabile una retribuzione a cottimo che non fissa neppure dei minimi e mette i ciclofattorini in concorrenza tra loro. “Il rider è un lavoratore dipendente che trasporta una merce, lui non la produce, non decide quando portarla e dove portarla, ma la trasporta quando c’è qualcuno che gli dice di farlo – spiega Danilo Morini, Filt Cgil -. Nel caso del food delivery si tratta di cibo, ma il processo è lo stesso usato per i pacchi con prodotti di largo consumo. Per questo la legge prevedeva l’applicazione dal 2 novembre dei minimi previsti dal contratto della logistica, obbligo aggirato dall’accordo truffa”.
Non possono essere considerati autonomi, quindi, come vogliono farci credere, né imprenditori di se stessi, e anche la teoria della paga a cottimo è da smontare: “Quando rivendichiamo la paga oraria, intendiamo una retribuzione riconosciuta al lavoratore dall’inizio alla fine del turno, indipendentemente da quello che realizza – piega Silvia Simoncini, Nidil Cgil -. Mentre l’accordo che contestiamo dà un valore temporale alle consegne, non è chiaro sulla base di quali indicatori. Facciamo un esempio. Nel turno faccio tre consegne che valgono dieci minuti l’una: verrò pagato per mezz’ora di lavoro mentre sono stato in strada e a disposizione per un’ora. Quindi i turni vanno pagati per intero, con la garanzia do un minimo. Mentre l’organizzazione del lavoro, e quindi delle consegne, deve ricadere sull’impresa”.
Questi principi sono stati già affermati da diverse sentenze dei giudici al termine di processi promossi dalla Cgil. E, si spera, saranno confermati anche dalle azioni che si stano mettendo in piedi a Firenze e a Bologna, per tutelare i rider con cause pilota individuali. “Dobbiamo uscire dalla logica dei lavoretti – dice Jacopo Dionisio, Filcams Cgil -. Questi lavoratori vanno garantiti dentro un perimetro contrattuale e l’accordo siglato non va bene. Perché è stato stipulato in modo meschino e perché non porta tutele né vantaggi”.