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Gianna Fracassi, vicesegretaria generale della Cgil, dopo giorni di confronto serrato con il governo è arrivata finalmente una lista più ridotta di aziende ritenute essenziali. Soddisfatta del risultato?
Abbiamo diminuito il numero di persone che dovrà andare a lavorare e abbiamo chiarito quelli che sono i settori indispensabili e non le produzioni che invece, in questo momento, è utile sospendere per la salute e la sicurezza di tutti. Sono stati giorni complicati, convulsi, ma abbiamo raggiunto l’obiettivo. Sono molto soddisfatta.
Ci spieghi meglio il criterio che ha portato a questo nuovo aggiornamento dell’elenco Ateco?
Abbiamo eliminato tutti i settori che riguardano la cosiddetta fabbricazione di quei beni oggi non ritenuti essenziali. La lista è lunga, solo qualche esempio. Da chi produce coloranti agli articoli esplosivi, dai prodotti per ufficio alle camere d’aria. Dovranno restare chiuse anche le imprese che producono macchine per l'agricoltura e l'alimentare, senza che questo ostacoli la distribuzione dei generi di prima necessità. Chiude il commercio all'ingrosso di altri mezzi e attrezzature di trasporto. È bene sottolineare che molte di queste aziende si trovano proprio nelle zone più a rischio come Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna. Chiuderle significa anche consentire alle persone e ai lavoratori di restare a casa e non aumentare i contagi. Ma l’elenco Ateco è solo una parte del problema. L’altro sono le disposizioni contenute nel Dpcm. Una cosa inaccettabile è la possibilità per le aziende di autocertificare la propria “essenzialità” al prefetto così da poter rimanere aperte. Questo ha determinato una serie sconfinata di richieste che ha ingolfato le stesse prefetture, specie nel Centro-nord. Grazie al nostro intervento, da oggi i prefetti in ogni territorio avranno anche l'obbligo di informare e di coinvolgere le organizzazioni sindacali per verificare che le nuove regole vengano rispettate.
Anche le aperture dei call center sono state regolate...
Sì, lo abbiamo chiesto fin da subito al presidente del consiglio Conte. E siamo molto soddisfatti che la nostra istanza sia stata recepita. D’ora in avanti resterà chiusa tutta l’attività in uscita, prevalentemente commerciale, quella cosiddetta outbound ed i servizi telefonici a carattere ricreativo. Possono operare invece quelli in entrata in relazione a contratti stipulati con soggetti che svolgono attività economiche ritenute essenziali.
Confindustria ha fatto pressing sul governo affinché blindasse o addirittura ampliasse la vecchia lista anche ad attività non ritenute essenziali. Ora dice: “Basta polemiche, lavoriamo con responsabilità”. Cosa rispondi?
In questa fase bisogna avere tutti la massima responsabilità e, aggiungo, la massima trasparenza. A cominciare da Confindustria che negli ultimi giorni ha agito in solitaria senza coinvolgere nemmeno le altre parti datoriali. Non possiamo permetterci azioni di questo tipo. È necessario condividere lo stesso percorso, come abbiamo fatto con il protocollo sulla sicurezza. Dobbiamo avere tutti bene in testa la fase delicata che stiamo attraversando.
Le conseguenze economiche le stiamo già vedendo sulla nostra pelle...
Noi adesso stiamo giustamente affrontando questioni legate all’emergenza, ma c’è un grande tema che non possiamo rimandare: gli effetti che il virus sta lasciando e lascerà sulla nostra economia. La pandemia ha già provocato una recessione durissima. Dobbiamo pensare fin da ora a come ripartire, a come rimettere in moto la macchina produttiva del Paese.
Il tema non riguarda solo noi, ma anche l’Europa, il mondo direi...
Certo. O gli Stati membri comprendono che è il momento di considerarsi a tutti gli effetti parte integrante dell'Europa o altrimenti non c’è spazio per la tenuta stessa dell’Unione. Il sovranismo è antistorico, così come il rigorismo imperante. Non si può pensare oggi, con questa crisi globale, di tutelare soltanto i propri confini, bisogna necessariamente costruire una dimensione più larga, più europea. Per queste ragioni è necessario mettere subito in soffitta il fiscal compact e tutte quelle regole che ci siamo dati per affrontare la crisi del 2008. Oggi sono inadeguate. Occorre mettere in campo degli strumenti finanziari diversi e più efficaci. Europond, coronabond, socialbond, il nome conta poco, quello che conta è trovare un sistema finanziario comunitario che sostenga gli investimenti. Oggi più che mai l’idea rivoluzionaria è cambiare il punto di vista. Dobbiamo passare dal tutelare il mercato al tutelare i bisogni primari delle persone.