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Nell'Italia che affronta la tempesta del Coronavirus ancora tante persone si recano ogni giorno nei luoghi di lavoro. Tra loro ci sono gli addetti della chimica, tessile, energia e manifatture che fanno parte degli “essenziali”: molti continuano ad operare, in una situazione sempre più delicata che – finora – non è stata regolata abbastanza dalle misure del governo. Abbiamo fatto il punto con il segretario generale della Filctem Cgil, Marco Falcinelli.
Alla luce delle ultime novità, cosa sta succedendo nei vostri settori?
La situazione è a macchia di leopardo. Abbiamo grandi aziende in cui siamo presenti e contrattiamo l'applicazione del protocollo sicurezza del 14 marzo, firmato da governo e parti sociali: questo ci consente di mettere in protezione i lavoratori, negoziando anche misure più vantaggiose rispetto agli accordi. In alcuni casi si tutelano non solo i singoli ma anche i familiari, viene previsto un sostegno attraverso i nostri fondi sanitari che aiutano le persone a lavorare con un minimo di tranquillità in più nella situazione generale. Le cose però cambiano molto al variare delle dimensioni di impresa. La situazione più complessa la troviamo nell'artigianato e nella manifattura tessile: ci sono tante piccolissime aziende, molte a gestione familiare, dove una discussione legata all'emergenza e all'applicazione dell'accordo è difficile da fare. In una nota unitaria, abbiamo già dato indicazione alle strutture di mettere in campo tutte le iniziative necessarie per rispettare il protocollo. In Lombardia abbiamo proclamato uno sciopero regionale per il 25 marzo.
Il sindacato critica duramente il decreto “Chiudi Italia” del governo, che si riflette ovviamente anche sui vostri lavoratori.
Certo. Il decreto ha determinato maglie troppo larghe, ovvero ha considerato essenziali troppe attività che non lo sono. Nel nostro caso alcune aziende si erano dichiarate disponibili a chiudere, ma dopo aver letto il testo ci hanno informato che resteranno aperte. Per certi aspetti il decreto scritto in quel modo è stato un passo indietro. Attualmente l'unico strumento essenziale per garantire la sicurezza è il protocollo del 14 marzo, ovvero un accordo definito tra governo e parti sociali e rispettato nella sua stesura: al contrario di ciò che è accaduto per il decreto, i cui testi definitivi erano diversi da quelli concordati. Detto chiaramente, il ruolo di lobby della Confindustria si è fatto sentire e l'esecutivo ha ceduto alle pressioni.
Ci puoi fare un esempio concreto di ricaduta negativa?
Sono definite essenziali tutte le attività a ciclo continuo. Questa dicitura consente di tenere aperta praticamente l'intera produzione: ci sono alcune realtà, come i forni della ceramica o della chimica, che non si possono spegnere perché ripartirebbero con estrema difficoltà. Ma c'è anche un altro mondo. Per esempio, la produzione degli pneumatici è un'attività essenziale? Oggi viene considerata tale perché a ciclo continuo, ma noi sappiamo dal settore della gomma che attualmente i magazzini sono pieni, anche per la scarsa circolazione delle automobili. Ecco, quella produzione potrebbe fermarsi.
Nel decreto precedente, il “Cura Italia”, voi contestate l'articolo 14 che mette a rischio i lavoratori del farmaco e dei dispositivi medici. Ci puoi spiegare?
Quell'articolo è una follia: la norma non applica ai lavoratori la possibilità della messa in quarantena sorvegliata in caso entrino in contatto con un soggetto positivo. La produzione dei farmaci è oggettivamente essenziale, si pensi solo alle medicine salvavita, ma impedire all'addetto di essere assente giustificato per quarantena è impensabile. Così si mette in difficoltà l'intera attività lavorativa. Tra l'altro la catena di produzione dei farmaci spesso non permette il rispetto delle distanze di sicurezza, quindi con questa scelta finisce a repentaglio l'attività di un'intera azienda. In tal senso ne abbiamo discusso con Farmindustria, che purtroppo ha assunto una posizione sbagliata e rischiosa per tutto il settore.