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Per Zeno D’Agostino, che non è un personaggio sveviano, ma il capo del Porto di Trieste, fatto decadere dall’Anac, formalmente a causa di un cavillo, domani scenderà in piazza una città intera che mai si era trovata così unita trasversalmente. Dai portuali agli industriali, dalle migliaia di cittadini comuni, che hanno firmato una petizione promossa dal Pd , al sindaco forzista Di Piazza, da tutta la sinistra a certa destra, allergica all’ immobilismo. Persino il vescovo, che non è della “corrente” di papa Francesco, non sta a guardare. Unanime la richiesta: rimettere D’Agostino là dov'era dal 2016, al timone dell’Autorità di sistema portuale del mare Adriatico orientale. Per chi non avesse seguito la vicenda, la riassumiamo nei suoi contorni surreali.
Qualcuno, “una manina vile”, la chiama Enrico Grazioli, direttore de Il Piccolo, ha inviato alla guardia di finanza “un esposto circostanziato”. Questo a novembre 2019. D’Agostino è stato denunciato per presunto conflitto di interessi. Nel 2016, al tempo della sua nomina, era già presidente, senza deleghe esecutive e senza stipendio, del Trieste Terminal Passeggeri (per il 40 percento proprietà del Porto). Secondo la legge Severino non avrebbe dovuto accettare il nuovo incarico.
La “manina” se ne ricorda molti anni dopo, quando Zeno D’Agostino, uomo d’oro dello sviluppo di una città per anni tenuta scientificamente in apnea, ha già cambiato volto al porto, portandolo ai primi posti in Europa e in cima alla classifica italiana per tonnellaggio e traffico ferroviario. Uno che lavora con tutti, anche con i cinesi della Via della Seta, che pensano per Trieste al ruolo di porta europea dei loro traffici. Uno che non piace al vecchio sistema di potere, ormai in declino, che ha sempre impedito i salti in avanti del sistema portuale triestino, i grandi progetti, le grandi visioni.
La delazione alla guardia di finanza si salda dunque perfettamente con gli interessi degli imbalsamatori della città. Dopo “un’accurata istruttoria” l’Anac, che non è certo tenuta a sapere retroscena di questo tipo, dichiara decaduto il presidente, forte, dice in una nota, di “una consolidata giurisprudenza amministrativa” (citate due sentenze del Consiglio di Stato). E D’Agostino deve abbandonare.
Quello che nessuno poteva prevedere, forse nemmeno “la manina", è la reazione della città. I portuali scendono in sciopero per il “loro” presidente (sarà lui a pregarli di interrompere le agitazioni in attesa di novità), gli industriali affidano ad Andrea Illy le loro preoccupazioni per l’immagine internazionale, i cittadini firmano, il vescovo prega, il sindaco forzista Di Piazza affronta i fischi per ribadire la sua vicinanza, e anche il presidente leghista Fedriga, si associa al momentaneo lutto.
L’unica a scricchiolare è Forza Italia: “Siamo con D’Agostino ma ribadiamo che il Cinavirus non deve contaminare il porto giuliano”. In consiglio comunale sempre i forzisti non firmano con gli altri una mozione di solidarietà e ne presentano una loro. Forza Italia è il partito di Giulio Camber, antico deus ex machina della città, già sottosegretario con Craxi, sempre evocato nelle vicende di potere locali. I suoi colleghi escludono una “regia” dietro la defenestrazione del presidente dell’autorità portuale. Lui dice che adesso si occupa d’altro.
Una cosa è certa. Chi tocca il Porto di Trieste si scotta. Nel lontano 1987 le Generali provarono a disegnare il loro futuro dentro le banchine abbandonate . Lì doveva nascere il polo di rappresentanza della compagnia. Non se ne fece nulla, un palude totale, e il colosso triestino si spostò a Mogliano Veneto. Più recentemente, nel 2008, Trieste ottenne il ballottaggio con Saragozza per l’Expo. Anche qui “una manina” fece arrivare un dossier a Parigi e la giuria alla fine optò per la città spagnola.
Per questo domani i triestini scendono in piazza, per difendere non solo un uomo, dalle eccezionali doti di manager, ma un’idea di futuro. Trieste è porto strategico, con la peculiarità unica che le deriva dalla sua storia imperiale, di essere porto franco, con la possibilità di ampliare gli insediamenti industriali nella cosiddetta zona franca. Caratteristiche che danno al porto la possibilità di diventare lo scalo intermodale internazionale più a Nord del Mediterraneo. A questo stava lavorando Zeno D’Agostino (ora sostituito da un commissario, che è il suo ex braccio destro) fermato da un cavillo e dai sacerdoti del “no se pol” (non si può), lo slogan della città immobile di 20 anni fa. “Ridateci Zeno, il nostro presidente”, scandiscono i portuali e gli amministrativi (lui in pochi anni ha assunto centinaia di persone) e attendono l’esito del ricorso al Tar del Lazio. “Se non dovesse essere positivo, andremo tutti a Roma”. Lui, il presidente decaduto, è persino disorientato da tanta solidarietà e non accusa nessuno: “Non so chi ha presentato l’esposto. Quei signori sono potenti. Qualcuno ha deciso che il presidente non sono io”.