PHOTO
La paura è il sentimento che ha scandito i primi giorni di lavoro nei supermercati dopo l’affacciarsi della pandemia. Tanti, troppi clienti che si accalcavano tra i reparti, enorme la pressione su commessi e cassiere. Si sapeva che tenere le distanze era indispensabile ma senza contingentamento né obbligo a star lontani la calca è stata inevitabile. E con essa, appunto, la paura di non riuscire a proteggersi.
Così comincia il suo racconto Giuseppe Di Bari, vive in Lombardia, lavora alla Esselunga, è stato eletto delegato sindacale, emozioni e preoccupazioni fanno da contrappunto al ricordo dei primi giorni dell’emergenza: “Una prima fase ci ha visto sommersi dal lavoro, i clienti hanno letteralmente preso d'assalto i supermercati, la reazione al primo DPCM è stata inaspettata e irrazionale, come le immagini sui social e sui giornali hanno dimostrato, i supermercati sono stati svuotati e per far fronte alle esigenze di rifornimento e di servizio è stato richiesto a noi lavoratori uno sforzo ulteriore, ci hanno chiesto turni più lunghi, di saltare il riposo settimanale il tutto senza garanzie di sicurezza e una distribuzione adeguata di Dpi”.
C’è stata una rivoluzione nell’organizzazione del lavoro in ogni punto vendita della Grande Distribuzione, ci conferma Alessio Di Labio, segretario nazionale della Filcams, “i delegati e noi con loro, abbiamo immediatamente rivendicato che prima di ogni altra cosa andava messa al centro la questione della salute e sicurezza dei lavoratori e delle lavoratrici. E poi ripensare orari turni e presenza nei magazzini, quando e come scaricare i rifornimenti, quando riassortire gli scaffali, durante l’orario di apertura al pubblico? Insomma, riflette il sindacalista – Il libretto di istruzioni per affrontare la crisi da Covid-19 non c’era e forse ancora non è stato scritto”.
Reperite mascherine e guanti è stata una impresa difficilissima, più facile istallare alle casse le protezioni in plexiglass, complicato definire regole e procedure che dovranno ulteriormente cambiare in vista della Fase2. E con il Decreto che ha sancito il #tuttiacasa le cose dentro i supermercati sono nuovamente cambiate. Contingentamento dei clienti, orari ridotti proprio su richiesta dei sindacati, l’obiettivo era quello di allentare lo stress per gli addetti, consentir loro di tornare a casa adeguando gli orari di lavoro a quelli ridotti dei mezzi pubblici, e ancora la rivendicazione della chiusura domenicale e festiva e la sospensione del lavoro notturno. “Ogni modifica dell’orario di apertura – sottolinea Di Labio – sia quelle rivendicate da noi che quelle imposte dalle istituzioni, sono state ponderate con grande attenzione, ci si è infatti resi conto che l’approvvigionamento alimentare senza intoppi è funzionale al mantenimento dell’ordine pubblico”.
Quel che è certo che le abitudini dei consumatori sono cambiate. Si è passati dall’accaparramento ai piccoli acquisti quotidiani. E sono, di conseguenza, cambiati i luoghi della spesa. Non si va più nei centri commerciali che per quanto riguarda gli alimentari sono aperti ma privi di clienti, funzionano i supermercati di quartieri e i negozi al dettaglio. Dopo il boom iniziale di acquisti, che ha portato un aumento di fatturato alle aziende, il mutare di abitudini si fa sentire, le grandi superfici a tre/quattro settimana dall’inizio del “tutto chiuso” registrano una contrazione del giro d’affari che rischia di scaricarsi sui lavoratori. Proprio lo scorso 21 aprile le organizzazioni sindacali si sono viste recapitare dalla Carrefour la richiesta di cassa integrazione guadagni in deroga per 26 ipermercati situati in 8 regioni (Piemonte, Lombardia, Valle d’Aosta, Veneto, Emilia Romagna, Toscana, Lazio e Sardegna). “Per la Filcams, che insieme alle altre organizzazioni incontrerà l’azienda il prossimo 5 maggio, la priorità è garantire salute e sicurezza ai lavoratori anche in Carrefour, non aggravare le loro condizioni di lavoro”, afferma il segretario nazionale della categoria. Preoccupato di capire quale sarà l’impatto sui consumi, anche alimentari, della crisi economica che la pandemia si porta dietro. Come e quanto diminuirà il potere di acquisto delle famiglie che si dibattono tra cassa integrazione e disoccupazione? Insomma motivi di apprensione davvero non mancano e la risposta non può che essere una riflessione più complessiva sui consumi individuali e collettivi. E, soprattutto, sull’organizzazione del lavoro a partire da orari, turni aperture e chiusure.
Ma torniamo a come ha vissuto queste trasformazioni chi opera all’interno degli spazi di vendita. Raccontano che all’inizio l'emozione che ha contraddistinto molti di loro nella prima fase era il terrore per quel che poteva succedere. Capitava che qualcuno prima di iniziare il turno volesse scappare solo perché aveva visto la coda interminabile di clienti fare la fila per entrare, altri piangevano perché la mascherina che gli avevano fornito non si adattava al viso, troppo grande o troppo piccola, ad altri ancora venivano le palpitazioni e gli manca il respiro semplicemente perché non erano abituati a lavorare per 7 ore, o più, con la mascherina e con questa tensione. Poi sono arrivati i Dpi e una maggiore consapevolezza dell’importanza del lavoro che si svolge. Afferma ancora Di Labio che nelle prime settimane dell’emergenza si è registrato un aumento del tasso di assenze a causa di patologie, stress, in alcuni casi per quarantena. Dati precisi su eventuali contagiati da Covid-19 non ve ne sono ma secondo il leader sindacali per fortuna non sembrano essercene molti. Ma il bilancio reale si farà fra qualche tempo.
Paura e stress dicevamo. E’ ancora Giuseppe Di Bari a parlare: “Sono tante le cose che per noi addetti alla vendita sono cambiate in questo periodo, anzi tutto è cambiato sul piano emotivo. Ho iniziato a lavorare in un supermercato quasi 20 anni fa, amavo stare in mezzo alla gente, nella confusione, farmi strada con il muletto tra gli scaffali, dare informazioni, socializzare con la clientela, stringere mani e ricevere pacche sulle spalle. Mi sentivo realizzato pur facendo un lavoro considerato dai più un "bad job". Ora molti ci chiamano eroi... penso che la maggior parte di noi vorrebbe solo tornare a lavorare con serenità e senza paura”.
Il Coronavirus ha reso manifeste alcune funzioni facendole emergere dal cono d’ombra dell’invisibilità con il rischio di farvele tornare appena non staremo più tutti a casa. “Definire il servizio che diamo indispensabile – dice ancora di delegato di Esselunga - ci pone allo stesso livello di altri servizi davvero indispensabili come il servizio sanitario, gli ospedali, si rischia così di non tenere in considerazione un aspetto fondamentale: mettere sullo stesso piano un infermiere o un medico che il suo lavoro l'ha scelto per vocazione e un addetto alla vendita, un cassiere che fa questo lavoro spesso perché costretto dalle logiche delle offerte di mercato è profondamente sbagliato, le due mansioni non hanno le stesse motivazioni nel garantire il servizio, etichettarci come indispensabili giustifica la liberalizzazioni degli orari, delle aperture festive e domenicali, magari giustificherebbe anche una richiesta da parte delle controparti datoriali di restrizioni al diritto di assemblea e sciopero. Ho una speranza -conclude Di Bari - che con la fine dell'emergenza, il nostro lavoro venga considerato sì ma che gli si dia la giusta importanza. E’ necessario garantire la possibilità di fare la spesa ma il modello del tutto sempre aperto va assolutamente rivisto, il riconoscimento lo vogliamo per la nostra cordialità e la nostra professionalità, non perché siamo sempre aperti e disponibili”.