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Da obbligo a preferenza. Da condizione senza alternative a forma di lavoro intorno alla quale organizzare la propria vita. Sembra questa la percezione del telelavoro nel biennio della pandemia (2020-2021) maturata tra molti cittadini europei, così come la fotografa e analizza l’ultima indagine curata sul tema da Eurofound, la Fondazione di Dublino. “Telelavoro”: forma meno evoluta, dunque, del lavoro agile, o smart working, codificato in Italia ma ancora lontano da un’applicazione estesa e completa.
Nel futuro, secondo i ricercatori della Fondazione, si delinea l’emergere di una forma ibrida tra lavoro in presenza e in remoto. Ma dipenderà dalle politiche del lavoro e dalla contrattazione collettiva, che dovranno ritagliare un vestito per questa ibridazione, nelle cui tasche e pieghe siano risolti anche problemi quali isolamento, allungamento degli orari, mancanza di attrezzature adeguate, tutela della salute e sicurezza.
Però indietro, forse, non si tornerà.
Eurofound ci ricorda che la pandemia ha provocato un'impennata nel telelavoro, con un aumento enorme del numero di dipendenti che lavorano da casa in molti paesi europei. L’aumento ha riguardato i paesi Ue in misura diversa.
Molto di più nei paesi dell'Europa meridionale e centro-orientale come Malta, Italia, Ungheria e Grecia, dove prima del Covid il lavoro a distanza era minoritario e adesso è invece raddoppiato rispetto al 2019. È aumentato relativamente anche in Irlanda, Germania e Spagna. Mentre in altre aree (Scandinavia, Benelux) dove il lavoro da remoto era già diffuso l’aumento è stato meno rilevante.
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La vera impennata del telelavoro nel 2020 ha riguardato le persone che lavorano abitualmente da casa, e non solo ogni tanto. L’anno scorso, ovviamente a causa di quarantene e restrizioni, “lavorare abitualmente da casa è diventato l'accordo più tipico, con un aumento, per esempio, di oltre il 150% in Italia”, rilevano i ricercatori Eurofound.
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Nel prossimo futuro la transizione digitale renderà “telelavorabili” un numero sempre più ampio di mansioni e professioni, ma per Eurofound è probabile che il lavoro a distanza “rimanga a un livello simile a quello attuale, o possa diminuire un po’, quando tutte le restrizioni legate alla pandemia finiranno”. L’indagine (condotta anche sulla base di interviste e sondaggi) ipotizza, però, che “più lavoratori lavoreranno a distanza per una parte del tempo, e nei locali del loro datore di lavoro per il resto del tempo”. Che si affermerà insomma un “modello ibrido”. Un modello che deve emanciparsi da una natura “occasionale” e trovare una formalizzazione contrattuale.
L’indagine Eurofound intanto ci dice che il 60% della forza lavoro complessiva vorrebbe lavorare da casa (quotidianamente o più volte a settimana) anche dopo la pandemia. Un sondaggio tra chi ha telelavorato tra febbraio e marzo 2021 rivela però che la metà di loro preferirebbe una modalità mista tra casa e ufficio. Eppure “circa un dipendente su tre, nell'Ue, tra quelli che hanno lavorato esclusivamente da casa a febbraio e marzo 2021 continuerebbe a farlo se potesse decidere la propria organizzazione del lavoro”.
“Questi risultati non sono sorprendenti - commentano i ricercatori Eurofound -. Il telelavoro offre l'opportunità di migliorare l'equilibrio tra lavoro e vita privata e di avere più autonomia, oltre a ridurre il tempo di pendolarismo”. Inoltre, “consentendo il telelavoro, le aziende potenzialmente beneficiano di aumenti di produttività e della capacità di attrarre lavoratori altamente qualificati per i quali il telelavoro è un aspetto importante”. Resta una fetta non irrilevante (il 23%) che invece vorrebbe tornare stabilmente in ufficio, per interagire maggiormente ed emanciparsi dall’isolamento di questi mesi.
L’autonomia del telelavoro ha anche, come si sa, i suoi risvolti negativi: “Lunghe ore di lavoro, disponibilità costante, offuscamento dei confini tra lavoro e vita domestica, ansia, affaticamento degli occhi, conflitti lavoro-famiglia derivanti dall'onere aggiuntivo dell'assistenza e dell'istruzione domestica per i genitori”. L’indagine si è concentrata sui dipendenti a tempo pieno con 35 o più ore settimanali, registrando un diffuso aumento dell’orario oltre i limiti contrattuali (tra le 41 e le 60 ore a settimana) e, in genere, l’insorgere di “orari irregolari e non standard”. Fenomeno che, invece, non ha riguardato chi ha lavorato in sede.
“La cura dei bambini in generale - rileva l’indagine - è un fattore legato al lavoro nel tempo libero. Nel marzo 2021, il 29% di coloro che avevano figli di età compresa tra 0 e 11 anni e che lavoravano da casa hanno riferito di aver lavorato nel tempo libero ogni giorno o ogni due giorni nell'ultimo mese rispetto al 20% di quelli senza figli”.
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“Anche qui sono evidenti le differenze di genere. Tra coloro che lavorano solo da casa (con un lavoro part-time o a tempo pieno), una percentuale maggiore di donne (25%) rispetto agli uomini (19%) ha lavorato nel tempo libero. La differenza è ancora più grande quando si guarda ai dipendenti con figli (di età compresa tra 0 e 11 anni) che lavorano solo da casa (35% delle donne contro il 23% degli uomini)”, sottolineano i ricercatori.
Quanto alle attrezzature, un risultato “sorprendente” è che circa un telelavoratore su tre, nella Ue, ha riferito di non averne ricevuta alcuna dall’azienda. In particolare, “un numero proporzionalmente maggiore di dipendenti del settore dell'istruzione, rispetto a qualsiasi altro settore, non ha ricevuto attrezzature dal proprio datore di lavoro”.
L’Europa, concludono gli autori dell’indagine, è in un “momento cruciale”, e si avvia a una “transizione verso un’organizzazione più flessibile del lavoro”. I lavoratori, soprattutto gli over 50, “vogliono il telelavoro”, ma “in questo cambiamento è importante che ci sia una regolamentazione adeguata che affronti le sfide, come la fornitura di attrezzature, l'organizzazione dell'orario e l'isolamento”. Il telelavoro (o lavoro agile, se in tutta Europa si diffonderà questa modalità innovativa) sarà “una caratteristica chiave dell'organizzazione del lavoro nel futuro”, ma - ammonisce Eurofound - occorrono politiche adeguate, standard minimi a livello europeo, nazionali, di settore, oltre ad accordi ritagliati sulle singole aziende.
Elaborazioni grafiche a cura di Antonella Lupi