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Indietro non si torna: il rapporto con Arcelor Mittal è chiuso. Il governo ha deciso di rompere con il colosso franco-indiano nella gestione di Acciaierie d’Italia e di assumersi la piena responsabilità di Taranto e degli altri stabilimenti. Questa la novità emersa nell’incontro con i sindacati che si è tenuto nella serata di giovedì 11 gennaio, convocato dall’esecutivo a Roma, presso la sede di Palazzo Chigi.
Una novità fortemente caldeggiata dalla Fiom e dalle altre sigle metalmeccaniche, che però deve ancora assumere una forma: l’esecutivo tenterà la strada del “divorzio consensuale”, che sarebbe preferibile anche per ridurre i pericoli di contenzioso legale, ma non è ovviamente esclusa la soluzione del commissariamento e dell’amministrazione straordinaria.
Per verificare la possibilità di un accordo con Arcelor Mittal, chiudendo così senza ulteriori strascichi la joint venture nata nel 2020, il governo ha preso tempo fino a mercoledì 17 gennaio. Per il giorno seguente (giovedì 18), infatti, è in programma un nuovo vertice con i sindacati, dove si renderà noto l’esito della trattativa con la multinazionale.
Fiom Cgil: il cambiamento che chiedevamo
“Finalmente ci siamo: il governo ha deciso di non tornare più indietro e quindi di procedere sulla strada di assumere la gestione dell’azienda”. All’uscita dal vertice con il governo, il segretario generale Fiom Cgil Michele De Palma mostra la propria soddisfazione per la “svolta” impressa all’ex Ilva: “Questo è il punto di cambiamento su cui noi abbiamo investito con le lavoratrici e i lavoratori di tutti gli stabilimenti, allo scopo di salvaguardare il futuro dell’azienda, dell’occupazione e dell’ambiente”.
Il governo, prosegue il leader sindacale, ha risposto “anche a una nostra richiesta, ossia quella di tutelare i lavoratori anche dal punto di vista della salute e sicurezza. Abbiamo dunque anche chiesto che negli eventuali ammortizzatori che saranno utilizzati, concordati tra l’azienda e il governo, ci sia il fatto che i manutentori, che sono coloro che tengono in piedi gli impianti, siano messi nelle condizioni di poter lavorare”.
De Palma non nasconde certo che “è stata dura ed è dura”, ma rimarca che “i lavoratori hanno tenuto in piedi gli impianti, hanno difeso il lavoro, l’ambiente, la salute e la sicurezza delle persone”, sottolineando che “siamo a un passo dal fatto che il governo si assuma le proprie responsabilità”. Parimenti, anche Arcelor Mittal sta per “assumersi le proprie responsabilità: non volendo più investire, è ovvio che l’uscita dalla gestione dell’azienda è il punto fondamentale”.
Giovedì 18, dunque, sarà un’altra giornata d’importanza capitale. “Abbiamo detto al governo che la garanzia per il futuro è l’occupazione di tutte le lavoratrici e di tutti i lavoratori”, conclude il segretario generale Fiom Cgil: “Non può più succedere, come accaduto in passato, che a pagare il prezzo delle scelte sbagliate di manager, amministratori delegati e proprietà siano le lavoratrici e i lavoratori, i cittadini, l’ambiente. Noi ci faremo garanti di questo cambiamento, e lo faremo assieme ai lavoratori e ai cittadini di tutte le città coinvolte”.
La posizione del governo
“Abbiamo l'urgenza di un intervento drastico, che segni una svolta netta rispetto alle vicende per nulla esaltanti degli ultimi dieci anni”. A spiegare le ragioni dell’esecutivo è stato il ministro per le Imprese Adolfo Urso, nel corso dell’informativa al Parlamento su Acciaierie d’Italia che si è tenuta nella mattinata di giovedì 11 presso l’aula del Senato.
“L'impianto è in una situazione di grave crisi: nel 2023 la produzione si attesterà a meno di tre milioni di tonnellate, come nel 2022, ben sotto l'obiettivo minimo che avrebbe dovuto essere di quattro milioni, per poi risalire nel 2024 a cinque milioni”, ha spiegato Urso: “Nulla di quanto programmato e concordato è stato realizzato, nessuno degli impegni presi è stato mantenuto né sull’occupazione né sul rilancio industriale”.
Il titolare del dicastero ha rimarcato che “in questi anni la produzione è stata progressivamente ridotta in spregio agli accordi sottoscritti. E perfino negli anni in cui la produzione era profittevole in Europa la produzione è stata mantenuta bassa, lasciando campo libero ad altri attori stranieri”.
Il ministro, in conclusione, ha affermato che il governo “vuole invertire rotta cambiando equipaggio e delineando un piano siderurgico nazionale sulla base di quattro poli: Taranto, Piombino, Terni e le grandi acciaierie green del Nord Italia”. Riguardo Taranto, infine, ha dichiarato che “l’ex Ilva, che è il più grande polo siderurgico d'Europa, può essere il più grande polo siderurgico green più avanzato del nostro continente”.