Della reintroduzione dei voucher voluta dal governo Meloni nell’ultima legge di bilancio, Susanna Camusso pensa “tutto il peggio possibile”. Sei anni fa, quando la senatrice era ancora segretaria generale della Cgil, la confederazione aveva condotto una lunga battaglia e raccolto un milione di firme proprio contro i buoni lavoro. Oggi l’esecutivo fa fare ai diritti del lavoro un enorme balzo indietro con una manovra che Camusso ha definito in più di un’occasione “triste e oscurantista”.

Susanna Camusso (foto di Simona Caleo)

La senatrice torna a parlarne a margine della presentazione del VI Rapporto Agromafie e Caporalato, presentato dalla Flai Cgil martedì 29 novembre: “La sensazione è che tutto il lavoro portato avanti dalla Cgil e dalla Flai in questi anni – una lunga storia di cui la conquista della legge sul contrasto al caporalato è il punto più noto ma che è anche riconoscimento del lavoro dignitoso e di qualità, dell’agricoltura, della sua regolarizzazione e che ha portato a leggere nella giusta luce cosa volevano dire voucher, sommersione e maggior sfruttamento - venga spazzato via per tornare a una dimensione in cui noi il lavoro non lo guardiamo ma vediamo solo le imprese e le loro indicazioni. Non vediamo cosa vuol dire lavoro nero in rapporto con la criminalità, in una soppressione etica del nostro Paese. Per questo provo una sensazione di profondo arretramento ma anche la convinzione che se ce l’abbiamo fatta una volta, ce la possiamo fare di nuovo”.

Pericolo voucher

I voucher iniziarono a essere utilizzati nel 2008. Il 2016 fu l’anno del boom: all’epoca ne vennero staccati ben 134,1 milioni, poi, anche grazie alla lotta del sindacato, il sistema venne radicalmente modificato. I buoni cartacei vennero sostituiti da quelli telematici e vennero introdotte soglie e limiti più vincolanti. Nel 2021 sono stati 8,3 milioni i voucher utilizzati ma la storia di questo strumento – ricorda Camusso – ha dimostrato che la loro liberalizzazione ha contribuito alla precarizzazione del mercato del lavoro e a una riduzione dei diritti e delle tutele dei lavoratori e delle lavoratrici che venivano retribuiti con i buoni. Esattamente il contrario di quanto sostengono gli esponenti di governo e l’attuale maggioranza e oggi la manovra economica riapre il fronte. Sindacale ma anche politico.

“La politica – commenta Camusso - dovrebbe per prima cosa essere consapevole che ogni intervento che dia dignità al lavoro, che gli dia riconoscibilità, retribuzione, condizioni positive è un fattore di innovazione per un verso, ma comunque di miglioramento delle condizioni del Paese. Bisognerebbe partire da questo perché se si partisse da questo ne verrebbe come conseguenza che abbiamo troppe forme di lavoro che favoriscono la precarietà e che bisognerebbe sfoltirle. Se si partisse da questo dovrebbe essere normale pensare che le ispezioni, e quindi gli ispettorati, dovrebbero essere la norma in un Paese che vuole qualificare il lavoro”.

L'insidia più profonda

Meno precarietà e più sicurezza resta la chiave per l’ex segretaria generale della Cgil che si fece promotrice della Carta dei diritti universali del lavoro e, invece, la reintroduzione dei voucher va proprio nella direzione opposta con un pregiudizio che rende le misure dell’attuale governo ancora più insidiose: “Non si dovrebbe dare per scontato che qualunque rivendicazione avanzata dalle associazioni di impresa sia di per sé giusta e necessaria. Pensiamo proprio all’agricoltura: se guardiamo la distribuzione del reddito, il divario tra ciò che viene distribuito al lavoro e ciò che finisce in profitti e ampliamento della sfera imprenditoriale è evidente; quindi, non è sempre vero, anzi è sempre più raramente vero, che dietro le rivendicazioni delle imprese c’è una necessità di sopravvivenza del settore come spesso viene raccontato. Spesso c’è, invece, una volontà di mantenere le diseguaglianze, cosa che sarà la rovina di una parte dell’economia del nostro Paese, perché continuare a spingerla verso il basso senza diritti e con retribuzioni misere minerà la qualità e la credibilità della nostra produzione nel resto del mondo”.

L’ennesimo paradosso: “Sì, una contraddizione vera e propria: si cambia il nome del ministero dello Sviluppo Economico in ministero del Made in Italy e non ci si accorge che se si vuole difendere il made in Italy bisogna che questo sia accompagnato da un’alta qualità del sistema produttivo e che lo sfruttamento, ormai in tante parti del mondo, viene riconosciuto come un fattore negativo non come un elemento che contraddistingue un marchio di qualità”.