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Il suicidio è divenuto purtroppo un fatto attuale e ricorrente e gli ultimi tragici eventi dimostrano l’elevata incidenza tra gli appartenenti alle Forze di polizia e alle Forze armate. Si tratta di un fenomeno complesso. Gli elementi in interazione tra loro riguardano infatti la sfera psicologica, biologica, genetica, sociale e ambientale e quindi deve essere osservato in maniera organica e interdisciplinare. Ma proprio per questo, non può essere trattato esclusivamente come un problema esistenziale, legato cioè alle condizioni psicologiche personali del singolo lavoratore.
Tutto ciò avviene purtroppo sotto il silenzio della politica e delle istituzioni, che oscillano fra l'indifferenza, la sottovalutazione e l'omertà. Spesso di fronte a questi tragici fatti gli alti vertici delle Forze armate e delle Forze armate tendono a nascondere, a eludere, a sminuire la portata del gesto derubricandolo a mero problema del singolo, scollegandolo completamente da quelle che sono le condizioni di lavoro e di vita del lavoratore in divisa. Non è così, l’organizzazione del lavoro fortemente gerarchica incide profondamente nella personalità del singolo. Sia nel caso che questi gesti drammatici siano causati da situazioni direttamente riconducibili all'ambiente interno, sia che siano causati da fattori esterni o personali, l'ambiente di lavoro e la sua organizzazione hanno sempre e purtroppo un ruolo negativo e decisivo.
Dunque è necessario rendere proprio quell'ambiente accogliente, trasparente, sicuro e democratico. Per accedere nelle Forze di polizia e nelle Forze armate bisogna superare dei test psico attitudinali severi e selettivi, possiamo quindi dedurre che i problemi che spingono alcuni militari o operatori delle forze di polizia a compiere l’estremo gesto, probabilmente, insorgono in un momento successivo all’arruolamento e hanno una specifica attinenza con l’ambiente lavorativo.
Ma noi non possiamo rimanere semplicemente a guardare, a registrare i numeri, vogliamo soluzioni. Per affrontare il malessere dei lavoratori e intervenire sui processi organizzativi e lavorativi, al fine di prevenire situazioni di disagio, è necessario riconoscere il ruolo delle organizzazioni sindacali la cui azione a tutela dei lavoratori deve potersi svolgere senza impedimenti e controlli dei vertici militari e di polizia, come invece prevedono le norme attualmente in vigore.
Quando le richieste dell’ambiente superano la capacità del lavoratore di affrontarle o controllarle, il rischio di stress da lavoro correlato sale vertiginosamente e può sfociare in eventi tragici come i suicidi ed è nel contesto dei modelli organizzativi, anche laddove il ruolo maggiore lo riveste il rapporto gerarchico tra superiore e subordinato, che l’azione sindacale deve essere svolta, proponendo un piano d'azione che agisca su più fronti, sul tema della prevenzione e del sostegno e dell’organizzazione del lavoro.
Occorre riconoscere che negli ambiti militari e di polizia esiste un disagio nei luoghi di lavoro che non può prescindere dalle condizioni di lavoro e dagli assetti organizzativi. Solo l’interlocuzione con le organizzazioni sindacali può portare a soluzioni utili per invertire la direzione. Le gerarchie militari dovrebbero prendere coscienza di questo bisogno, che in un Paese civile va garantito per rendere onore a quelle vittime e onorare la nostra Costituzione e affinché queste situazioni si verifichino sempre meno.
Allo stato la legislazione non permette di affrontare il tema in termini di confronto sindacale e soprattutto la recente legge sul ruolo delle associazioni sindacali fra i lavoratori militari purtroppo non va in questa direzione. È semmai una legge liberticida che ostinatamente nega ai militari ogni ruolo di contrattazione, impedendo qualsiasi evoluzione in senso democratico del sistema e del suo ambiente e impedendo quel ruolo di tutela del lavoratore che ogni sindacato deve agire nel confronto sull’organizzazione del lavoro.
È necessario, per contrastare anche la strage silenziosa, rivedere tutto il sistema legislativo in materia e aprire a una completa democratizzazione e sindacalizzazione delle Forze di polizia e delle Forze armate riconducendole a un contesto unitario con il resto del mondo del lavoro, è tempo di trovare un diverso equilibrio fra libertà sindacali e garanzie di comando, in modo da rendere le Forze di polizia e militari collegate e non disgiunte dalla società civile e dal Paese.
Sono istituzioni che devono vivere all’interno di una società complessa e ne devono essere parte integrante; non è utile, se non addirittura pericolosa, la separazione che rischierebbe di diventare sostegno a propositi corporativi e di chiusura nei confronti del mondo esterno. Riteniamo che sia necessario riconoscere ai sindacati militari e di polizia e al sindacato in generale il ruolo di presidio democratico e di tutela dei diritti e della dignità dei lavoratori in divisa, diritti che trovano in queste organizzazioni il luogo idoneo per la completa affermazione anche nell’ambito militare.
Come Cgil, proprio per la nostra natura confederale che ha a cuore la tutela dei lavoratori ma anche l’interesse generale, stiamo lavorando alla costruzione di una iniziativa nelle prossime settimane proprio sulla necessità di avere tra i militari e le polizie una rappresentanza sindacale vera. Un'iniziativa che metta a confronto gli esperti, i vertici delle amministrazioni interessate, la politica ma soprattutto faccia parlare a questa platea le lavoratrici e i lavoratori e i loro rappresentanti. Le libertà sindacali e il corretto esercizio della contrattazione possono aiutare il processo di riforma necessario affinché le Forze armate e di polizia possano rendere un servizio ancora più efficace per tutti i cittadini.
Fabrizio Spinetti è responsabile Cgil nazionale coordinamento sindacati delle Forze armate e delle Forze di polizia