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L’Europa non trova un accordo sui diritti dei rider e degli altri lavoratori su piattaforma e così ogni decisione su una direttiva ad hoc è rinviata. L’intesa politica tra Consiglio, Parlamento e Commissione era stata raggiunta in via provvisoria a metà dicembre, dopo una maratona negoziale durata oltre dodici ore. E la conferma di questo patto considerato pionieristico, perché fissava un primo quadro normativo del settore, doveva arrivare prima di Natale.
Parigi blocca l’intesa
Ma una parte consistente di Paesi si è messa di traverso. Prima fra tutti la Francia che guiderebbe il gruppo dei contrari, tra cui Repubblica Ceca, Ungheria, Italia, Grecia, i Baltici, mentre la Germania si è astenuta non permettendo di dare più peso ai favorevoli alla proposta. Per questo non si è nemmeno tenuta la votazione formale nel Coreper, il comitato dei rappresentanti permanenti: era chiaro che la maggioranza non sarebbe stata raggiunta. La presidenza spagnola dell’Unione incassa quindi questa sconfitta e passa il testimone alla prossima presidenza Ue, affidata al Belgio, che potrà riaprire i negoziati.
Tocca alla presidenza belga
“I tempi sono molto stretti, è auspicabile che la discussione riprenda subito, a gennaio, ma è difficile immaginare che ci saranno altri sviluppi - afferma Nicola Marongiu, responsabile dell’area contrattazione, politiche industriali e del lavoro della Cgil -. C’è di buono che il Belgio ha una posizione simile a quella della Spagna su questa questione e quindi proverà a condurre una discussione in continuità con quella fatta finora. Le motivazioni della bocciatura? Le stesse che hanno animato il dibattito: la proposta di direttiva introduceva una presunzione di lavoro subordinato, anche se non diretta, e poi l’impossibilità per gli Stati membri di derogare alle norme comunitarie”.
La presunzione di rapporto dipendente
In base alla bozza di accordo, la presunzione di rapporto di lavoro dipendente, che poteva essere fatta valere dal lavoratore, dai suoi rappresentanti e dalle autorità competenti, sarebbe scattata quando fossero stati presenti due criteri su cinque tra quelli individuati: se la piattaforma determina il livello di retribuzione o fissa i limiti massimi; se supervisiona lo svolgimento del lavoro anche per via elettronica; se determina o controlla la distribuzione o l’assegnazione dei compiti; la stessa cosa per le condizioni di lavoro o le prestazioni o la discrezionalità nello scegliere l’orario o i periodi di assenza; se limita la libertà di organizzare il lavoro o impone la presenza della persona.
Standard di base
“L’accordo trovato nei triloghi era tutt’altro che ideale, ma alla fine portava alcuni standard di base nel settore - dichiara Ludovic Voet, segretario della Confederazione europea dei sindacati -. Lavoreremo duramente con la maggioranza degli Stati membri che hanno sostenuto l’accordo per garantire che questo processo si concluda con successo nel nuovo anno sotto la presidenza belga”.
Gli spazi di manovra a sei mesi dalle elezioni per il parlamento europeo, che si terranno dal 6 al 9 giugno, sono però davvero pochi e il tempo per arrivare a un’intesa diversa molto probabilmente non c’è. E così 5,5 milioni di persone in Europa rimangono in attesa di una norma che classifichi correttamente il loro status occupazionale, non più lavoratori autonomi ma subordinati, con diritti e tutele.