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La Cgil lo ha sempre detto. Ne ha fatto una bandiera della sua azione sindacale concreta da quando, ormai vent’anni fa, l’appalto ha colonizzato i processi produttivi. La battaglia del sindacato, a tutti i livelli, nella contrattazione e sul territorio come nello scontro politico con i governi, ha ripetuto in tutte le sedi che l’unica via percorribile era “stesso lavoro, stessi diritti”.
E visto che anche un orologio rotto per due minuti al giorno ti dà l’ora esatta, nel quadro disastroso del nostro mercato del lavoro, stremato da precarietà, bassi salari e terziarizzazione spinta, si è fatta una piccola rivoluzione. Accade allora che al Salumificio San Carlo di Ziano, nel piacentino, verranno applicate le stesse condizioni contrattuali sia ai dipendenti diretti dell’azienda, che ai lavoratori in appalto. “Stesso tetto, stesso salario, stessi diritti”.
“Si abbattono le barriere retributive e normative tra i 60 lavoratori San Carlo, addetti alla lavorazione dei tre salumi dop di Piacenza, e gli 80 in forze alla cooperativa 3T, impiegati invece nell’affettamento e confezionamento dei prodotti”, spiega puntuale il comunicato sindacale. Tutto nasce dalla trattativa condotta da Flai Cgil e Fai Cisl.
“È un risultato costruito nel tempo – ci spiega Fiorenzo Molinari, segretario generale della Flai Cgil di Piacenza – grazie a un lavoro che viene da lontano. Poco meno di 10 anni fa questi addetti erano terziarizzati a una cooperativa che applicava il contratto multiservizi. Con il passare del tempo sono passati all’applicazione della piccola industria alimentare”.
Un grande risultato sindacale e politico. “Più che politico culturale. Tra le cose che ci siamo detti al congresso della Flai c’era questo slogan, “stesso tetto, stesso contratto”. Culturale perché questo momento evidenzia come tutte le cose più terribili, penso alle stragi sul lavoro, avvengano nell’appalto. Uno strumento esploso proprio perché il committente in un colpo solo si sgrava della responsabilità di quei lavoratori e risparmia sull’applicazione del contratto”.
Come hanno reagito i lavoratori? “C’è stato un moto d’orgoglio. La felicità dell’obiettivo raggiunto non è solo legata a un aumento salariale che definirei ‘violento’ rispetto alla paga che hanno percepito finora, ma anche per alcuni elementi che non sono solo di contorno. L’utilizzo del parcheggio che prima era appannaggio solo dei dipendenti diretti. Il buono pasto a 8 euro, come i dipendenti diretti. Cambiamenti che restituiscono un principio di dignità e di valorizzazione della persona. Perché il lavoro produce una comunità”. Piccole differenze di sostanza che comunque discriminavano gli appalti, li facevano concretamente sentire come lavoratori di serie B. Oltre a un avanzamento normativo come il riconoscimento al 100% della malattia dal primo aprile.
Come ci siete riusciti? “Abbiamo fatto capire al committente e alla ditta appaltatrice che questa operazione non era una spesa in più, ma un investimento sulle persone. Noi non diciamo che non ci debba essere una terziarizzazione del processo produttivo, denunciamo però un problema: che spesso nella terziarizzazione si è nascosto lo sfruttamento. Adesso invece c’è un appalto genuino”.
Una piccola rivoluzione, proprio nel pieno della raccolta firme per i referendum proposti dalla Cgil che si battono per lo stesso obiettivo affermato dall’azione sindacale nel salumificio piacentino, ossia un lavoro stabile, tutelato, dignitoso e sicuro.