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Che le cose non andassero bene, lo si sapeva già dal 2013, quando, per la prima volta, i ricavi della Stefanel - uno dei marchi più prestigiosi della moda italiana -, calarono in doppia cifra, all’indomani di un piano triennale di rilancio nel campo del lusso sostenibile, dimostratosi però del tutto inefficace. La crisi è poi precipitata l’anno scorso, con la dichiarazione dello stato d’insolvenza e il via libera all’amministrazione straordinaria da settembre 2019, dopo che due anni prima erano entrati in società nuovi azionisti al 71%, come i fondi di privati equity Oxy e l’inglese Attestor, con la quota minoritaria del 16,4% mantenuta dalla famiglia Stefanel.
Per l’ex Maglificio Piave - così era conosciuto il glorioso brand nei suoi primi vent’anni di attività -, fondato da Carlo Stefanel nel 1959 e diventato celebre il tutto il mondo, con oltre 400 punti vendita disseminati in una cinquantina di paesi, il declino è apparso irreversibile e ai 217 addetti superstiti (dei quali 66 in produzione nella sede storica di Ponte di Piave, una decina a Milano e tutti gli altri dislocati nei negozi rimasti sul territorio) si sono aperte le porte della cassa integrazione straordinaria a novembre 2019 (con retroattività da luglio).
Il lookdown del marzo scorso ha finito per dare il colpo di grazia al gruppo, con i debiti saliti a 97 milioni a fine aprile. Tanto che il commissario straordinario, Raffaele Cappiello, il 4 maggio, al termine della pandemia, ha deciso di non riaprire la catena dei 32 negozi (cui ne vanno aggiunti altri 27 in franchising) per evitare aggravi aggiuntivi dei costi. Oggi, la famosa griffe della maglieria made in Italy è in vendita sul mercato e ci sono ragionevoli motivi per ritenere che un passaggio di proprietà possa avvenire a breve.
“L’8 maggio – afferma Tiziana Basso, segreteria Cgil Veneto –, il commissario ci ha comunicato che il piano di vendita avrebbe avuto un’improvvisa velocizzazione, perché le casse aziendali iniziavano a svuotarsi e non c’era più tempo da perdere, pena la perdita di ulteriore liquidità. In discussione, la stessa amministrazione straordinaria, inizialmente programmata fino a dicembre 2020. Da qui, l’esigenza di dover vendere Stefanel entro ottobre. Nel contempo, noi abbiamo chiesto precise rassicurazioni sul piano dell’occupazione, che continua ad assottigliarsi: di recente, dalla sede di Ponte di Piave sono uscite alcune persone. Inoltre, hanno chiuso tre negozi del gruppo e sono stati ridotti i contratti a termine”.
Dopo il via libera dato dal ministero dello Sviluppo economico a Cappiello di procedere con il programma di cessione, è stato comunicato al mercato il termine - il 1° luglio - entro cui trasmettere eventuali manifestazioni d’interesse, anche separatamente per ciascuna delle due componenti in cui è stato deciso di dividere la società: da una parte, una ‘scatola’ contenente il marchio Stefanel, lo stabilimento di Ponte di Piave e una trentina di negozi in Italia; dall’altra, una seconda business unit, Interfashion spa, compartecipata di Stefanel, che produce e commercializza il brand High del casual chic.
Dunque, l’ipotesi di uno ‘spezzatino’ aziendale non è affatto remota, ma non trova d’accordo il sindacato. “Lo spacchettamento è proprio quello che vogliamo scongiurare a tutti i costi – dice Margherita Grigolato, Filcams Veneto –. La nostra volontà è di vendere necessariamente, perché in caso contrario il fallimento è sicuro, avendo il gruppo già bruciato 120 milioni in venti mesi. Ma bisogna farlo in toto, per preservare l’integrità dell’azienda e cercare di tutelare i lavoratori il più possibile”. Una posizione, quella dei sindacati, ribadita il 25 giugno, in occasione del summit programmato in videoconferenza assieme a Mise, azienda, commissario e Regione Veneto, durante il quale è stata comunicata la notizia beneaugurante di due manifestazioni d’interesse per Stefanel: la prima, da parte di un fondo straniero; la seconda, ad opera di un altro fondo, in cordata assieme a un imprenditore italiano del Nord.
“L’incontro non ci ha detto nulla di sconvolgente che non potessimo immaginare e che avevamo già preventivato – sostiene Christian Iannicelli, Filctem Treviso –. Da parte nostra, sono emerse due grandi perplessità: la prima, derivante dal fatto di voler procedere alla vendita con due basi d’asta distinte, una prospettiva che ci trova del tutto contrari; la seconda, di voler reiterare la chiusura totale dei negozi a data da destinarsi, con l’intento di far saltare la collezione autunno-inverno, che secondo noi allontanerebbe le prospettive di rilancio, peggiorando ulteriormente la situazione”.
Oltretutto, argomentano le organizzazioni sindacali, margini di ripresa per Stefanel esistono. La riprova la si è avuta nelle brevi riaperture in via sperimentale decise a fine maggio in alcuni punti vendita a Genova, Verona e Roma, assieme all’outlet di Treviso, dopo il confinamento per l’emergenza Coronavirus. “Nell’arco dei tre giorni aperti al pubblico – rivela Basso –, le vendite sono state soddisfacenti, al di là delle aspettative”. “Secondo me – aggiunge Grigolato –, con una nuova gestione in grado di presentare un piano industriale di sviluppo, le possibilità di riuscita per il futuro sarebbero alte, perché il marchio è molto conosciuto sul mercato e le collezioni piacciono”.
Prossime tappe, l’8 luglio, quando scadrà la cigs per Covid-19, che verosimilmente verrà prorogata per tutto il periodo dell’amministrazione straordinaria. Mentre il 4 settembre si procederà all’apertura delle buste con le relative offerte d’acquisto. “Solo allora – osserva Iannicelli –, sapremo finalmente con chi andare a confrontarci”. Nel frattempo, il 23 giugno si è tenuta a Treviso un’assemblea sindacale con tutti i lavoratori, per fare il punto della situazione. “Dimostrano tutti grande professionalità e serietà – conclude Iannicelli –, come ho avuto modo di vedere parlando con loro. Certo, in molti c’è il timore che il nuovo proprietario che arriva non confermi il personale, tutto altamente qualificato, non essendoci più operai, ma solo esperti di design, addetti al know how e alla logistica. È chiaro che se le cose non avranno l’esito da noi sperato, a quel punto la mobilitazione sarà inevitabile”.