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Si può lavorare in una grande azienda per anni, senza soluzione di continuità, facendo le stesse identiche cose dei dipendenti di quell'azienda, ma senza essere mai assunti. Lo strumento si chiama staff leasing ed è uno dei quaranta tipi di contratto che si possono scegliere dal ricco menù del mercato del lavoro italiano. Dopo il varo del decreto Dignità, che ha regolamentato il ricorso ai contratti a termine, lo staff leasing ha riscosso molto successo tra le imprese. Secondo un report di Umana, una delle principali agenzie di somministrazione del lavoro in Italia, questa tipologia di contratto è cresciuta del 400% in un solo anno.
“Noi siamo di proprietà dell'agenzia interinale, so che è brutto dirlo, ma è proprio così”, racconta Carlo (nome di fantasia), uno dei 57 lavoratori in staff leasing presso la Terex di Umbertide (Pg), filiale di una multinazionale americana che produce piattaforme aeree e sollevatori telescopici. “Io appartengo all'agenzia interinale, anche se da anni lavoro stabilmente e con soddisfazione in Terex e mi sono formato, ho acquisito professionalità e costruito rapporti di amicizia con i colleghi. Ma ora che con il Covid la situazione si è complicata enormemente, tutto questo non conta e se l'azienda decide di tagliare, perché gli ordinativi sono calati, basta 'restituirci' all'agenzia, pagando una penale e la questione finisce lì. Per noi il blocco dei licenziamenti non conta”.
Il paradosso è che parliamo di lavoratori a tempo indeterminato eppure “sacrificabili” in qualsiasi momento. Spetterà all'agenzia poi coprire i periodi di non lavoro con una retribuzione che, però, non si avvicina neanche lontanamente a quella corrisposta durante l'impiego in fabbrica. “Settecento euro al mese e qualche corso di formazione nella speranza di trovare una nuova collocazione – dice ancora Carlo – è questo quello ci aspetta se la Terex ci manderà via, come sembra intenzionata a fare con 15 di noi. È dura da accettare, tanto più se sei avanti con gli anni e avevi ormai accarezzato l'idea di un buon lavoro per la vita”.
Sempre in Umbria, ma a Foligno, c'è un'importante azienda del settore aeronautico, la Oma Tonti: qui, come hanno denunciato nei giorni scorsi i sindacati dei lavoratori precari, Nidil Cgil, Felsa Cisl e Uiltemp, è in atto un vero e proprio stillicidio dei contratti in somministrazione. “Io sono uscito quando è scaduto il mio rapporto di lavoro – racconta Andrea (nome di fantasia) – Lavoravo alla Oma da molto tempo e penso che in condizioni normali mi avrebbero quasi sicuramente messo a tempo indeterminato, invece con il Covid hanno cominciato a tagliare. Mi hanno fatto un colloquio dicendomi che potrebbero anche richiamarmi, ma finché non riparte il settore dell'aviazione bisognerà aspettare”.
Andrea spiega di aver accettato la decisione senza alcuna rabbia o rancore: “Il mio contratto era scaduto ed effettivamente la situazione con la pandemia è precipitata, quindi capisco anche che l'azienda abbia necessità di ridurre i costi. Quello che invece mi sembra inaccettabile è che ora stiano tagliando anche i miei colleghi interinali che erano però a tempo indeterminato. Questo mi fa indignare: sentiamo che persino i ristoranti stanno usando la cassa integrazione, perché non può farlo un'azienda grande, con 600 lavoratori, anziché mandare a casa gente che lavora lì da anni?”.
La situazione della Terex e quella della Oma non sono di certo isolate. Solo in Umbria sono centinaia, secondo i sindacati, i lavoratori in somministrazione già tagliati in settori peraltro ricchi come automotive, meccanica fine e aeronautica. Anche alle acciaierie Ast di Terni 17 somministrati sono stati “sacrificati” dopo il lockdown. Naturalmente, poi, il problema non è solo umbro. In tutta Italia, infatti, i primi lavoratori ad essere colpiti dagli effetti economici della pandemia sono stati proprio quelli a chiamata e in somministrazione, basti pensare alla vicenda dei 425 autisti tagliati da Poste Italiane.
Le dimensioni del fenomeno sono davvero consistenti: nell'ultima nota trimestrale congiunta di Istat, ministero del Lavoro, Inps, Anpal e Inail si legge che nel secondo trimestre del 2020 i contratti a chiamata sono calati del 60% rispetto al 2019 (-164mila), mentre i somministrati sono diminuiti del 19% (-75 mila unità).
Tornando all'Umbria, la situazione qui è definita “esplosiva” dai sindacati. “Noi chiediamo con forza segnali di responsabilità non solo alle aziende utilizzatrici, ma anche alle istituzioni, tanto più ora che si sta discutendo delle risorse del Recovery Fund e dello Sure, che dovranno essere finalizzate a difendere i posti di lavoro – afferma Vanda Scarpelli, segretaria generale del Nidil Cgil di Perugia – Per questo abbiamo inviato alla Regione Umbria una richiesta ufficiale per attivare da subito strumenti di monitoraggio dei settori produttivi che utilizzano di più il lavoro somministrato e ragionare sulla tutela di questi lavoratori, che in molti casi vivono il paradosso di avere un contratto a tempo indeterminato senza però un lavoro".