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Quest'anno – al di là delle dichiarazioni del ministro Valditara – nelle classi delle scuole italiane ci saranno circa 200 mila supplenze. Più di 100 mila saranno sul sostegno. Un dato gravissimo, se si pensa alle ragazze e ai ragazzi con disabilità su cui questo deficit andrà a cadere. Non solo: molti degli insegnanti precari che saliranno in cattedra non hanno la specializzazione. E naturalmente non per colpa loro.
Ma andiamo con ordine e cerchiamo di capire come si è determinata una situazione che penalizza soprattutto le regioni del Nord. “La ragione – spiega Manuela Calza, segretaria nazionale Flc Cgil – sta nel fatto che i parametri di definizione degli organici non rispondono agli effettivi bisogni delle scuole rispetto ai percorsi di inclusione scolastica di alunne e alunni con disabilità”.
Un sistema in deroga
È l’annoso problema dell’organico di diritto (cioè quello assegnato ogni anno dal ministero a inizio anno scolastico) e quello di fatto, cioè reale, che si genera in base alla concreta situazione sul territorio. “Ogni anno, e dunque anche quest'anno – sottolinea Calza – le scuole registrano e segnalano più ‘casi’ di quelli previsti, o comunque la richiesta di un maggior numero di posti, anche in seguito alle numerose sentenza dei Tar che accolgono i ricorsi dei genitori a cui era stato assegnato in un primo tempo un pacchetto di ore di sostegno insufficiente rispetto alla gravità della disabilità”. Questi sono i motivi per cui ogni anno i numeri di posti necessari sul sostegno raddoppiano rispetto a quelli assegnati dal ministero. Si tratta insomma di personale assunto in deroga e con contratti a tempo determinato: dunque precario e che arriva spesso anche ad anno scolastico abbondantemente iniziato.
Non solo: anche i 100 mila posti in organico di diritto – e dunque pienamente riconosciuti – non possono integralmente essere coperti da assunzioni a tempo indeterminato, “sia perché le assunzioni full-time non sono autorizzate dal ministero per l’intero contingente, sia perché le graduatorie da cui attingere sono spesso esaurite, cioè non ci sono un numero sufficiente di insegnanti di sostegno specializzati”, dice la sindacalista.
Il motivo è semplice e deriva da un sistema di formazione e reclutamento non adeguato che riguarda un po’ tutto il tema del precariato ma che nel caso del sostegno sembra ancora più rilevante. “I corsi di specializzazione vengono attivati dalle università – riprende la sindacalista della Flc – ma gli aspiranti che vi accedono sono sempre di meno, sia per gli alti costi, tra i 3 e i 4.000 euro per un anno di corso, sia perché molti atenei non bandiscono numeri di posti sufficienti a coprire il fabbisogno”. Insomma: il sistema sostegno avrebbe bisogno di personale stabilizzato e specializzato, il che spesso non accade proprio per motivi strutturali
“Sia chiaro – osserva Calza – gli insegnanti non specializzati quasi sempre si danno un gran da fare, si autoformano e il sistema di inclusione di alunne e alunni con disabilità è uno dei fiori all’occhiello dell'istruzione nel nostro paese, ma è chiaro che così non va e la politica sembra incapace di intervenire in maniera adeguata”.
Cosa succede ai precari?
Ma cosa accade ai precari non specializzati che fanno supplenze sul sostegno? Per entrare in ruolo devono ovviamente avere la specializzazione. A oggi, anche dopo tanti anni di lavoro, l’unico “privilegio” che hanno è quello di godere di una riserva di posti nei corsi banditi dalle singole università e di poter saltare la preselezione, a cui però segue comunque il test di accesso che consiste in due prove – scritta e orale –, e in un esame al termine del percorso. Per quanto riguarda i precari che però hanno la specializzazione, dal post-covid in poi è stata riservata loro una procedura straordinaria: la possibilità, cioè, di essere assunti attraverso le graduatorie provinciali (Gps) di prima fascia: assunzione a tempo determinato ma finalizzata, dopo l’anno di prova, all’immissione in ruolo.
Ma non è finita: nelle Regioni che hanno più posti vacanti, cioè quelle del Nord, è stata autorizzata la cosiddetta minicall veloce: la possibilità, cioè, per gli specializzati di spostarsi ed essere dunque assunti in graduatorie di altre province dove non ci sono più iscritti. “La procedura straordinaria e la minicall hanno quest’anno reso possibile l’assunzione a tempo indeterminato di 12 mila persone – commenta Calza –. I numeri ovviamente non sono sufficienti, ma noi crediamo che questo strumento sia molto efficare per superare questi squilibri territoriali e pensiamo debba essere utilizzato anche per le classi di concorso comune. Tengo a sottolineare che non si tratta di una sanatoria, perché queste persone hanno tutte il titolo di specializzazione”.
Il Pnrr non basta
La buona notizia è che i bandi per i concorsi per le assunzioni legate al Pnrr dovrebbero uscire in autunno. Sono complessivamente 70 mila posti, all’interno dei quali ci sarà ovviamente anche il sostegno. Ma ovviamente non basta. “Bisogna mettere mano integralmente al sistema, a partire dai costi dei corsi che sono veramente eccessivi – attacca Calza –. Soprattutto manca un coordinamento, una regia. Ci sono università del Nord, dove ci sarebbe più bisogno, che bandiscono meno posti dei necessari e al Sud avviene invece l’esatto opposto”. Ancora una volta, al di là degli slogan, è la politica che dovrebbe assumersi una responsabilità coerente con le parole, spesso retoriche, che riserva circa l’importanza della scuola e in particolare al suo ruolo inclusivo.