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C’è chi ha firmato prima dell’estate un accordo innovativo e all’avanguardia, in cui tutti i principi vengono messi nero su bianco, e chi invece non crede nelle potenzialità del lavoro agile e in vista della fine dell’emergenza ha voluto far rientrare tutti i lavoratori, salvaguardando solo alcune categorie. Il settore assicurativo, che in periodo di pandemia ha fatto ricorso in maniera massiccia alla remotizzazione del lavoro, con circa il 98 per cento dei dipendenti impegnati da casa, oggi sembra spaccato in due.
Da un lato il gruppo Generali, che ha schiacciato sull’acceleratore e precorso i tempi, sottoscrivendo con i sindacati Fisac Cgil, First Cisl, Unilca, Fna e Snfia un’intesa dettagliata che dà seguito al protocollo Ania, l’Associazione delle imprese assicurative, con uno strumento di modernità nell’organizzazione, di flessibilità operativa e di conciliazione dei tempi. Dall’altro, il gruppo Unipol che invece ha imposto in maniera unilaterale a tutti i dipendenti, tranne i fragili e alcune altre categorie, di ritornare in massa in ufficio in presenza. E mentre nel primo caso si plaude alla lungimiranza dell’azienda, nel secondo sindacati e lavoratori sono sul piede di guerra.
“Nell’accordo Generali sono declinati tutti i principi che abbiamo inserito nel protocollo sottoscritto con Ania in materia di lavoro agile, frutto di una piattaforma unitaria, punto di partenza per il rinnovo del contratto scaduto a dicembre 2019 – spiega Luca Esposito, segretario nazionale Fisac Cgil -. Se prima della crisi sanitaria lo smart working era un’eccezione, o aveva carattere sperimentale, dopo siamo diventati tutti consapevoli che quanto abbiamo vissuto avrebbe lasciato delle conseguenze di carattere strutturale”.
Così, la modalità di lavoro usata per affrontare un’emergenza si è trasformata in linee guida e principi che danno forma, fissano limiti, dettano condizioni. Prima fra tutte, il fatto che lo smart working non può essere una modalità di lavoro esclusiva ma deve essere contemperato con la presenza in sede. Poi, le prerogative contrattuali, che non possono variare a seconda che si lavori da remoto o in presenza. Anche l’istituto del buono pasto è confermato. Inoltre, si afferma il diritto alla disconnessione, la possibilità di ristori per le spese che il dipendente si ritrova ad affrontare (dalla sedia ergonomica alla scrivania, fino al costo della connessione Internet) da discutere e declinare di volta in volta nelle singole aziende, e poi la formazione, la salute e la sicurezza, i dispositivi informatici che devono essere a carico dell’impresa. “L’accordo Generali verrà discusso nelle assemblee convocate nelle prossime settimane per approvare il contratto aziendale recentemente sottoscritto – prosegue Esposito -, ma è già stato condiviso e apprezzato dai lavoratori”.
Sempre con assemblee unitarie i lavoratori del Gruppo Unipol hanno deciso di proseguire la mobilitazione che li ha visti impegnati il 4 novembre scorso in uno sciopero generale, indetto da Fisac Cgil, First Cisl, Unilca, Fna e Snfia, con presìdi sotto le sedi, per protestare contro l’indisponibilità dei vertici ad aprire un tavolo di confronto sullo smart working. “Si tratta di una modalità di lavoro ormai consolidata nel quotidiano che non può essere archiviata e relegata all’emergenza sanitaria – spiega Giovanni Gabbiani, responsabile del coordinamento nazionale Fisac Cgil Unipol -. Dall’11 marzo 2020 al 4 novembre 2021 i 10 mila dipendenti del gruppo hanno lavorato da remoto, tutti tranne circa 5-600 che dovevano prestare servizio in presenza per le caratteristiche delle attività. In vista della fine della pandemia abbiamo chiesto di discutere e ragionare su un graduale rientro che tenesse conto dei diversi comparti aziendali. Unipol ha alzato un muro negando l’apertura di una trattativa e ha imposto la sua decisione in modo unilaterale: si rientra tutti e tutti insieme, tranne alcune categorie”.
I sindacati chiedono invece che il rientro sia graduale, concordato e accompagnato da protocolli aggiuntivi di sicurezza. Insomma: l’azienda si sieda al tavolo del confronto per ristabilire un dialogo serio e costruttivo e si inizi a discutere di smart working come elemento strutturale della futura organizzazione del lavoro, ovvero il new normal, la nuova normalità del mondo post Covid-19.