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Nulla di fatto nell’incontro svoltosi ieri presso Assolombarda a Milano, il primo dopo la formalizzazione degli 833 esuberi da parte di Sirti, azienda leader nel settore delle installazioni telefoniche. “A fronte di una prima apertura a ragionare di strumenti alternativi ai licenziamenti l’azienda ha respinto le richieste avanzate dalle organizzazioni sindacali e dalle Rsu per una sospensione dei tempi della procedura”, spiegano in una nota Marco Giglio, Pietro Locatelli e Michele Paliani, coordinatori nazionali Fim, Fiom, Uilm Sirti.
“Trattare con il cronometro è una condizione inaccettabile, per questo la delegazione sindacale ha unitariamente proclamato ‘la settimana della lotta’ con manifestazioni e presìdi a livello interregionale, con 8 ore di sciopero, articolate dall’11 al 15 marzo. In preparazione alla mobilitazione nazionale, la prossima settimana sono previste assemblee informative in tutti i siti Sirti, accompagnate dalle necessarie azioni di lotta”, continua la nota.
All’azienda, aggiungono i sindacalisti, “chiediamo di concordare l’obiettivo esuberi zero, per il tramite di ammortizzatori sociali di accompagnamento al pensionamento, l’uso di ammortizzatori conservativi del posto di lavoro, la riduzione dell’utilizzo dei sub-appalti e la riconversione professionale. Al governo chiediamo di convocare tutte le parti, a vario titolo coinvolte nel settore, per costituire un tavolo nazionale di settore permanente che, a partire dalla drammatica vertenza Sirti, possa dare risposte immediate e di prospettiva per la salvaguardia dei posti di lavoro e determinare politiche industriali di tendenza per un settore così strategico per il paese”.
Il 14 febbraio scorso il gigante italiano delle infrastrutture per telecomunicazioni e information technology ha dichiarato 833 esuberi, tra operai e impiegati. Una cifra enorme, pari al 23 per cento del personale (gli addetti complessivi sono 3.692). I licenziamenti toccheranno tutti i reparti, anche se maggiormente colpita sarebbe la business unit Telco (reti di accesso, manutenzioni, radiomobili, reti civili e fibra). A tremare sono i lavoratori di tutte e 30 le sedi della società (controllata dall’agosto 2016 dal fondo d’investimento statunitense Pillarstone): secondo indiscrezioni, sarebbero almeno 250 in Lombardia, oltre 130 nel Centro Italia e in Sardegna, un centinaio nel Triveneto, Emilia Romagna e Marche, e un altro centinaio tra Calabria e Sicilia.
La protesta dei sindacati è stata immediata: stato di agitazione del gruppo (con la sospensione di prestazioni straordinarie, flessibilità, reperibilità e tempi di viaggio), assemblee in tutti i luoghi di lavoro e un pacchetto di quattro ore di sciopero articolato su tre giorni (dal 18 al 20 febbraio) a livello territoriale. L'adesione è stata pressoché totale ovunque.
“Il governo non può ignorare il ruolo strategico che il settore delle telecomunicazioni ricopre per il Paese e le drammatiche ricadute dal punto di vista occupazionale che il caso Sirti comporta. Se l'azienda insisterà nel voler aprire le procedure di licenziamento, valuteremo quali nuove iniziative di mobilitazione intraprendere”, dice Francesca Re David, segretaria generale della Fiom Cgil.
Fiom Cgil, Fim Cisl e Uilm Uil nazionali respingono decisamente “un piano di ristrutturazione e riorganizzazione che scarica drammaticamente sui lavoratori le conseguenze di un mercato delle telecomunicazioni senza governo, con scelte aziendali miopi e sbagliate”. I sindacati, riferendosi all’incontro con l’azienda del 14 febbraio scorso, spiegano che Sirti “ha ricondotto tale decisione alle condizioni di mercato, che hanno generato pesanti perdite finanziarie nell’ultimo biennio, scarsa marginalità e ulteriore frammentazione dei soggetti imprenditoriali concorrenti”.
I sindacati chiedono al governo non solo “un intervento concreto per il mantenimento dell’occupazione nel gruppo, ma anche un confronto permanente sulle condizioni di lavoro e sulle prospettive del settore, dilaniato da gare assegnate al massimo ribasso e oggetto di una progressiva rivoluzione tecnologica”. Per Fiom, Fim e Uilm “la guerra di posizione tra i maggiori azionisti, interna a Tim, non può essere scaricata sui lavoratori delle installazioni telefoniche. Pur essendo, da anni, in mano ad aziende private, il settore telefonico ha urgente bisogno di un governo pubblico”. In questa chiave, richiamano anche la “paradossale” situazione della Open Fiber, “di fatto una società a partecipazione pubblica, le cui regole d’ingaggio, in termini di gare e di tempistica nei pagamenti, stanno mettendo in crisi gli operatori del settore più strutturati, ovvero quelli con maggiore occupazione e più rispettosi delle tutele previste dalla contrattazione collettiva e della tutela della salute e sicurezza”.