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La convocazione del vicepremier Di Maio è “una novità, da parte di un governo che finora aveva mostrato indifferenza, a volte anche disprezzo, nei confronti delle parti sociali e in particolare del sindacato”. Lo afferma il segretario confederale della Cgil, Nino Baseotto, ai microfoni di RadioArticolo1. L'appuntamento tra Cgil, Cisl e Uil e Di Maio è fissato per mercoledì 13 marzo alle 15.30.
Una convocazione comunque “non significa che ci sia la volontà effettiva di ascoltare”, avverte il segretario. “Vedremo se intendono confrontarsi, interloquire con le organizzazioni sindacali e recepire parte delle richieste di Cgil, Cisl e Uil. Abbiamo già avuto un incontro su quota 100: abbiamo avanzato richieste e proposto emendamenti, ma al momento non si è visto niente. Insomma, un incontro non fa primavera, ma è certamente un dato positivo da ascrivere alla mobilitazione sindacale”.
“Quello che probabilmente infastidisce Palazzo Chigi – continua Baseotto – è che abbiamo qualcosa da proporre diverso dalle loro posizioni sui due provvedimenti bandiera di questa coalizione, ovvero quota 100 e reddito di cittadinanza. Si tratta di due provvedimenti confusi, in parte sbagliati, che non risolvono il problema. Non solo abbiamo qualcosa da dire, ma poniamo al governo alcuni temi di cui non si occupa: per esempio una riforma fiscale degna di questo nome, basata sul principio costituzionale della progressività delle imposte. Poniamo il tema degli investimenti finalizzati a creare posti di lavoro, proponiamo la ripresa dei cantieri nel rispetto dei vincoli ambientali, e molti altri nodi, come una sanità che non può essere usata per reperire risorse. Poniamo quindi una serie di questioni, che riguardano tutte come far ripartire l'Italia e far uscire il Paese dalla crisi: il governo è in imbarazzo perché noi paghiamo, protestiamo, proponiamo mentre loro non sembra si siano accorti dei problemi veri”.
L'esecutivo si era presentato sotto il segno del cambiamento. “Il vero cambiamento è partire dal lavoro – spiega Baseotto –, rimettere l'occupazione al centro perché davvero l'Italia ha bisogno di ricominciare da questo. Nel Paese oggi c'è troppo poco lavoro, è poco valorizzato e non si capisce che è la fonte primaria del benessere e della capacità di sviluppo, oltre che la base della dignità e della realizzazione delle persone”.
Da ormai venticinque anni in Italia invece le priorità sono altre: “Le esigenze della finanza, delle assicurazioni e delle banche, le richieste di alcune oligarchie. Sono aumentate le differenze, e non certo per il maleficio di un mago cattivo, ma perché sono state perseguite politiche economiche e sociali che hanno portato a questo. C'è più povertà, ingiustizia tra i singoli e i gruppi sociali, in altre parole cresce ciò che non dovrebbe crescere mentre arretrano il lavoro, i diritti, i salari. Tutti quei fattori – conclude – che potrebbero determinare una ripresa stabile del nostro Paese”.