PHOTO
Le ore della commozione non sono passate. E men che meno quelle dell’indignazione, della rabbia, del desiderio di rivalsa e punizione, sentimenti che nascono di fronte a una crudeltà come quella che ha portato il lavoratore Satnam Singh a una morte disumana. Insieme, però, si fa spazio l’urgenza del fare, di trovare nuove strade e potenziare azioni già avviate, chiamare a raccolta enti, istituzioni, parti sociali, cittadini perché una cosa del genere non si ripeta mai più.
La tragedia del bracciante abbandonato in strada dopo aver perso un braccio mentre utilizzava un macchinario nei campi di Borgo Bainsizza, nella provincia di Latina, ha mostrato per l’ennesima volta che caporalato e sfruttamento sono fenomeni terribilmente radicati.
“Ecco, il punto è proprio questo – afferma Giuseppe Massafra, segretario generale Cgil Frosinone Latina -: caporalato e sfruttamento sono fenomeni sistemici che tutti considerano normali, l’apparato economico, quello produttivo, le istituzioni, la società civile, tutti sono assuefatti. Questo chiama a una responsabilità collettiva, che sia capace di un’azione concreta, da fare, da realizzare, da aggiornare”.
Da dove si deve cominciare, Massafra?
Dalla legge regionale del 2018 che recepisce la disciplina di contrasto del caporalato, la 199 del 2016, che sappiamo essere in gran parte disapplicata. L’intervento istituzionale di organi di monitoraggio e prevenzione che consentono di arrivare alle sanzioni, l’inasprimento di queste ultime per chi si macchia del reato di caporalato, la creazione di un sistema che sottrae spazi all’intermediazione illegale, dal trasporto dei braccianti verso i luoghi di lavoro agli alloggi che devono essere adeguati e non baracche di fortuna.
Come fare emergere lo sfruttamento e il nero quando i lavoratori sono sotto ricatto?
Dobbiamo intervenire in un territorio dove è radicata l’omertà da parte di chi lavora in condizioni di sfruttamento, uomini e donne che non possono denunciare perché non hanno il permesso di soggiorno e hanno bisogno di quei due spiccioli che guadagnano nei campi. Quello che è successo è di una gravità ed efferatezza che non potevano essere taciute. Ma infortuni meno gravi e spacciati per una caduta dalla bicicletta o per un altro banale incidente, accadono tutti i giorni.
C’è un modo per sostenere chi denuncia?
Se noi non garantiamo la protezione dello Stato a chi trova il coraggio di denunciare e forme di tutela e di presa in carico complessiva, con assistenza, sostegno, riconoscimento del permesso di soggiorno, una garanzia a fronte del lavoro che perderà, il problema non si risolverà. Per questo c’è bisogno oltre che del sindacato anche di una rete di protezione sociale messa a disposizione dalle istituzioni, dal mondo associativo, dalle Onlus. In questo territorio vivono da generazioni ma come invisibili persone che vengono sfruttate non per scelta ma perché costrette da regole di mercato che convengono solo a qualcuno e dalla Bossi-Fini che la condizione di clandestinità la impone per legge.
Naturalmente i controlli che vengono fatti non bastano, vero?
È così, c’è una carenza enorme, già denunciata, del personale addetto ai controlli, c’è una difficoltà legata al coordinamento degli enti e anche delle banche dati che non si incrociano. Difficile quindi il monitoraggio e la quantificazione del fenomeno, temi che portano alla questione delle risorse messe in campo: quelle dello Stato, del Pnrr, i fondi strutturali, il Pon inclusione. Noi chiediamo: vengono usate queste risorse e come vengono usate?
Il sindacato che cosa può fare?
Dobbiamo intervenire a livello locale nella programmazione delle risorse, con proposte specifiche per debellare il sistema dell’intermediazione illecita, per costruire un mercato legale che dia risposte al bisogno di lavoro di queste persone, creare una protezione che è legata al rilascio dei permessi di soggiorno, affinché sommerso e illegalità emergano.
Con le prefetture di Latina e Frosinone abbiamo già avviato una discussione sulla salute e sicurezza sul lavoro nelle due province, per il contrasto dello sfruttamento e per affrontare la condizione degli appalti, dove si verifica la maggior parte degli infortuni. E due settimane fa con il Comune di Latina abbiamo sottoscritto un protocollo di relazioni sul tema degli appalti che non possono essere al massimo ribasso, e dell’uso degli insediamenti industriali abbandonati. Le istituzioni e le amministrazioni devono fare la loro parte.
Queste forme di sfruttamento in definitiva sono considerate una normalità anche perché convengono e fanno comodo un po’ a tutti. Che ne pensa?
La questione della manodopera a basso costo richiama una situazione atavica, e cioè il peso della distribuzione della ricchezza nella filiera agricola. Il mercato impone una condizione per cui la produzione si avvale di manodopera a bassissimo costo perché poi la parte principale del guadagno se la accaparrano l’industria della trasformazione e quella della distribuzione.
La legge di mercato sviluppa la competitività sui bassi costi, un fenomeno che non riguarda solo l’agricoltura ma anche l’edilizia, la logistica, i trasporti, dove le dinamiche sono praticamente le stesse. È un circolo vizioso che va fermato. I salari bassi e la povertà crescente riducono la possibilità di ciascuno di cambiare la logica di consumo che dovrebbe orientarsi verso la sostenibilità.
Che cosa intende dire?
Che dobbiamo intervenire su due fronti: debellare le situazioni di illegalità e poi mettere in atto un circolo virtuoso che sostenga le imprese sane, quelle che hanno messo al centro la sostenibilità sociale, ambientale ed economica e che invece vengono danneggiate dalla competitività illegale a basso costo.