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Ancora no, non siamo ancora pronti per uscire dal carbone. La data fissata dal legislatore è il 2025, ma l’Italia avanza con troppa lentezza. “Se fossimo pronti non sarebbe necessario aspettare quella scadenza”, spiega Marco Falcinelli, segretario generale della Filctem Cgil. Per fare a meno dei combustibili fossili “il nostro Paese ha molte cose da compiere: superare i ritardi nel complesso delle reti nazionali energetiche, elettriche e del gas, oltre a realizzare un assetto diverso della distribuzione dell’elettricità, sviluppando al massimo la digitalizzazione e i sistemi di autoconsumo, cioè quei sistemi che permettono alle persone di prodursi l’energia per uso sia industriale sia civile”.
Dal “phase-out” del 2025 ci separano ben cinque anni. Un tempo che potrebbe essere sufficiente a preparare l’Italia a questo grande cambiamento. “Questi anni, però, andrebbero impiegati bene”, riprende Falcinelli, facendo “investimenti innovativi in tutti i comparti di impiego dell’energia: dall’industria al settore civile, dai trasporti alla mobilità, allo sviluppo dei combustibili alternativi. Poi, ovviamente, al di sopra di tutti questi aspetti c’è il tema più generale dello sviluppo delle infrastrutture, su cui abbiamo accumulato un notevole ritardo”.
Collettiva. Il futuro è nel decentramento energetico e nelle fonti rinnovabili. Com’è la situazione in Italia?
Falcinelli. Il decentramento è già iniziato con lo sviluppo delle fonti rinnovabili, soprattutto nella parte elettrica. Attualmente questa produzione copre circa il 35 per cento della domanda, tra dieci anni dovremmo arrivare intorno al 55 per cento dell’elettricità consumata nel Paese. Il loro sviluppo comporta un decentramento progressivo della produzione e, di conseguenza, la riduzione programmata delle grandi centrali termiche. Una fase delicata, che richiede il rafforzamento dei punti di coordinamento e di governo del sistema elettrico, a partire dalla sicurezza delle reti nazionali e locali. Non possiamo trovarci in una sorta di ‘Far West elettrico’, in cui ognuno ha la propria ricetta per affrontare i problemi.
Collettiva. Per essere chiari: problemi di che natura?
Falcinelli. Anzitutto ci sono difficoltà nella sicurezza e nella continuità nella fornitura che vanno risolte. E poi, se vogliamo superare l’utilizzo del carbone, va aggiunta nuova capacità produttiva, ad esempio attraverso l’installazione di centrali turbogas a cicli combinati. Negli anni a venire, inoltre, si rafforzerà probabilmente la necessità di connessione e di scambio per garantire la qualità e la sicurezza del sistema elettrico.
Collettiva. In questo lungo passaggio il gas che ruolo avrà?
Falcinelli. Oltre ad assolvere una funzione nella fase transitoria, che potrebbe comunque arrivare fino al 2050, quindi con tempi molto lunghi, possiamo pensare al protagonismo delle fonti rinnovabili attraverso l’impiego dei cosiddetti gas verdi, il biometano, l’idrogeno, il gas di sintesi. Tutti temi che devono far parte di un ragionamento di sviluppo progressivo dal punto di vista scientifico, ma anche dal punto di vista dell’utilizzo.
Collettiva. Un esempio?
Falcinelli. L’idrogeno, certamente. Molte grandi aziende stanno facendo un importante lavoro di ricerca su questo gas, ma non abbiamo ancora l’attuazione pratica dei risultati di questa ricerca. Se andiamo in giro per l’Italia troviamo in questo momento un numero importante, anche se ancora insufficiente, di colonnine elettriche, ma non troveremo da nessuna parte colonnine che forniscono idrogeno per la mobilità.
Collettiva. Veniamo adesso alla più stringente attualità, dunque all’emergenza epidemiologica. Cosa ha provocato finora, e cosa sta ancora provocando?
Falcinelli. La pandemia ha già determinato una drastica riduzione dei consumi in tutti i settori, a partire ovviamente dall’industria. A tenere bene sono il domestico e l’uso civile: tutti noi siamo costretti a rimanere in casa, quindi ovviamente questi consumi sono aumentati. La ripresa sarà lenta, dal punto di vista del consumo sarà legata alla ripresa industriale e produttiva.
Collettiva. Quali saranno le ricadute sulla ‘transizione energetica’ e sulla tenuta dell’occupazione nel settore?
Falcinelli. Sul piano occupazionale abbiamo già dovuto affrontare qualche emergenza. Ma la vera questione è che nel Paese non c’è l’esatta percezione del significato di ‘transizione energetica’. Ci vorranno anni, probabilmente anche un decennio, per arrivare a una condizione di autosufficienza nella produzione e nella distribuzione dell’energia da fonti rinnovabili. Per centrare questo obiettivo dovremo attraversare una fase di transizione che non coinvolgerà soltanto le persone che in questo momento lavorano all’interno delle centrali, ma riguarderà, ad esempio, anche l’aspetto strutturale delle reti, del Paese e di alcune regioni in modo particolare.
Collettiva. Il riferimento è ovviamente alla Sardegna, l’unica regione italiana in cui non c’è il gas metano.
Falcinelli. Nel momento in cui si dovessero fermare le centrali a carbone dell’Enel, da qui al 2025, il problema che dovremo affrontare in Sardegna non sarà solo la perdita di occupazione dei lavoratori delle centrali, ma la questione più generale di una regione che si spegne sia dal punto di vista industriale sia dal punto di vista dell’utilizzo civile e domestico dell’energia. Se non ci saranno fonti alternative, ovviamente saremo costretti a mantenere le centrali a carbone in attività ben oltre il 2025.