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Sedici anni, da quella terribile notte di Torino. Sono appena scoccati i primi minuti del 6 dicembre 2007 nello stabilimento ThyssenKrupp, tra i più importanti impianti siderurgici d’Europa. Gli addetti alla linea 5 (ricottura e decapaggio) riavviano l’impianto dopo un fermo tecnico per manutenzione, ma qualcosa va storto. Un funzionamento irregolare del macchinario produce un attrito provocando una pioggia di scintille, a causa della presenza di molta carta intrisa d’olio si scatena un incendio.
Il fuoco, facendosi largo, colpisce un tubo flessibile da cui fuoriesce olio ad alta pressione nebulizzato. Una gigantesca nube di fiamme investe otto operai. Antonio Schiavone, 36 anni, muore sul colpo. Altri sei periranno nei giorni e nelle settimane seguenti a causa delle ustioni riportate: Roberto Scola, 32 anni; Angelo Laurino, 43; Rocco Marzo, 54; Bruno Santino, Giuseppe Demasi e Rosario Rodinò, tutti di 26 anni. C’è un unico sopravvissuto: Antonio Boccuzzi.
Lo stabilimento, facente parte della Acciai Speciali Terni, acquistata dalla ThyssenKrupp nel 1994, è in via di dismissione. L’impianto avrebbe dovuto chiudere nel 2005, con lo spostamento delle linee a Terni, ma per una serie di imprevisti la chiusura è rinviata. Nel luglio 2007 sindacati e azienda concordano la dismissione entro il settembre 2008.
L’indignazione per la tragedia è generale. Si scopre che alcuni operai erano al lavoro da ben 12 ore (avendo quindi accumulato quattro ore di straordinario), più di un testimone asserisce che i sistemi di sicurezza (come estintori e idranti) non erano funzionanti. Si scopre anche che l’installazione di sistemi automatici per rivelare e spegnere incendi era stata posticipata, che la manutenzione era stata ridotta, che l’addestramento antincendio del personale non era stato portato a termine. L’azienda smentisce ogni addebito e nega ogni violazione delle norme di sicurezza, accusando invece le vittime di distrazione.
Il ricordo della Cgil
“A distanza di 16 anni dalla strage della ThyssenKrupp si continua a morire sul lavoro, perché viene anteposto il profitto alla sicurezza delle lavoratrici e dei lavoratori”, afferma la segretaria generale Cgil Torino Gabriella Semeraro: “Una scia di sangue nel nostro territorio che non si arresta, come dimostrato dalla caduta della gru di via Genova, con la morte di tre operai o la più recente strage di Brandizzo che ha causato cinque vittime”.
Semeraro rimarca che “queste vittime sono figlie della precarietà stessa del lavoro, dell’utilizzo degli appalti e dei mancati investimenti sul personale ispettivo. Su quest’ultimo punto, non possiamo dimenticare l’inadeguatezza di un governo che, nonostante le promesse, ha deciso di non investire - attraverso nuove assunzioni, dotando gli ispettori di mezzi e risorse - sul tema della sicurezza sul lavoro”.
La segretaria generale Cgil Torino così conclude: “Quella della Thyssen non è stata una tragica fatalità, ma ha dei responsabili, colpevoli di aver pensato agli utili e non alla vita dei propri operai. È nostro dovere ricordare quei nomi, le loro storie, le loro vite, stare accanto ai loro familiari, perché non si può morire sul lavoro”.
Il processo e le condanne
L’ipotesi di reato formulata dai pubblici ministeri a carico dell'amministratore delegato Herald Espenhahn è di omicidio volontario con dolo eventuale e incendio doloso, mentre altri cinque dirigenti (Marco Pucci, Gerald Priegnitz, Daniele Moroni, Raffaele Salerno e Cosimo Cafueri) sono accusati di omicidio colposo e incendio colposo, con l'aggravante della previsione dell'evento. Anche la ThyssenKrupp viene rinviata a giudizio in quanto persona giuridica.
Il 15 aprile 2011 la Corte d'assise di Torino conferma i capi d'imputazione a carico di Espenhahn, condannandolo a 16 anni e sei mesi di reclusione. Agli altri cinque manager sono inflitte pene che vanno dai 10 anni e dieci mesi ai 13 anni e sei mesi. Il 28 febbraio 2013 la Corte d'assise d'appello, derubricando il reato da omicidio volontario a omicidio colposo, riduce le pene: 10 anni a Espenhahn, da 7 a 9 anni per i cinque dirigenti.
Il 24 aprile 2014 la Cassazione, pur riconoscendo le colpe di imputati e azienda, ordina un nuovo processo d'appello per la ridefinizione delle pene (che però non potranno aumentare). Il 29 maggio 2015 la Corte d'Appello di Torino condanna Espenhahn a 9 anni e otto mesi, per gli altri dirigenti le condanne vanno dai 6 anni e tre mesi ai 7 anni e sei mesi. Il 13 maggio 2016 la Cassazione conferma la sentenza, concludendo così il lungo percorso giudiziario.
Va ricordato, infine, che Harald Espenhahn è stato arrestato in Germania soltanto il 10 agosto 2023. Condannato nel proprio Paese a cinque anni per omicidio colposo, l’amministratore delegato di ThyssenKrupp non aveva fino a quella data fatto un solo giorno di carcere, nonostante il tribunale tedesco avesse confermato la sentenza italiana. Sconterà la pena in regime di semilibertà.