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Nel mese di giugno si registra una crescita di occupati (+0,4%), ma con un ritmo molto inferiore alla crescita del Pil. Tornano ad aumentare i dipendenti permanenti e a calare gli indipendenti; gli occupati a termine sono ormai stabilmente al di sopra dei 3 milioni (3 milioni e 138 mila unità), confermando la scelta da parte di troppe imprese di una produzione basata prevalentemente sulla bassa qualità del prodotto e quindi sulla competizione di costo del lavoro. Il bacino del lavoro povero (ai tempi determinati vanno sommati i part time involontari e un eccesso di inquadramenti nelle basse qualifiche) resta così molto alto.
Rispetto al periodo pre-pandemico, il tasso di occupazione sale (60,1%) ma più che per l’aumento di occupati, ciò avviene per la diminuzione della popolazione in età di lavoro. Rimane ferma l’occupazione dei più giovani, anzi, il tasso di disoccupazione di questa fascia di età (15-24 anni) è l’unico che aumenta (+1,7%); è da tempo in difficoltà l’occupazione nella fascia di età 35-49 anni mentre quella degli over 50 è quella con il maggior numero di occupati.
Nei primi sei mesi del 2022 gli occupati sono sempre bloccati attorno alla quota di 23 milioni (bassi rispetto alla media europea), i precari sempre sopra i 3 milioni e gli occupati con bassi salari sopra la quota di 5 milioni di unità. Non è accettabile il consolidamento di questi dati basati su troppo lavoro instabile e mal pagato. Per questo, pur nell’attuale fase pre-elettorale, servono interventi concreti e urgenti per collegare le attività del Pnrr a lavoro stabile e di qualità come non sta avvenendo; norme contro la precarietà e aumento dei salari lordi e netti.
Fulvio Fammoni è presidente della Fondazione Di Vittorio