Parafrasando la celebre frase dell’attivista femminista americana Carol Hanisch, si potrebbe dire che sempre più in questa fase storica “l’individuale è politico” e dunque collettivo. È la prima considerazione che viene in mente a partire dal “caso Raimo”, l’insegnante, scrittore – e ora candidato alle elezioni europee per Avs – a rischio di provvedimento disciplinare per avere in un post social criticato il ministro dell’Istruzione e del merito, Giuseppe Valditara, reo di non averlo difeso dalle ripetute minacce fasciste ricevute.

Una critica che, facendo perno sul “Codice di comportamento nazionale dei dipendenti pubblici”, per il ministero si configurerebbe come illecito disciplinare.

Il “nuovo” Codice nazionale di comportamento dei dipendenti pubblici (il Dpr 150 del 23 giugno 2023 che modifica il precedente del 2013) e rispetto al quale la Flc Cgil ha – come vedremo in seguito – fatto ricorso, recita all’art 11 ter che nell’utilizzo dei propri account di social media il dipendente “è tenuto ad astenersi da qualsiasi intervento o commento che possa nuocere al prestigio, al decoro o all'immagine dell'amministrazione di appartenenza o della pubblica amministrazione in generale”.

Libertà d’espressione valore supremo

Si tratta, come si vede, di indicazioni talmente larghe e fumose che di fatto lasciano uno spazio troppo ampio ad azioni disciplinari totalmente discrezionali che possono arrivare a impedire la libertà di esprimere le proprie idee. “Quello che trovo più scandaloso – commetta Isetta Barsanti Mauceri, avvocatessa esperta di queste tematiche – è che il Consiglio di Stato, tenuto a dare un parere non vincolante ma obbligatorio, ha detto chiaramente che il Dpr era illegittimo perché andava a limitare la libertà di espressione del pensiero senza però tutelare quelli che sono i princìpi cardine del nostro ordinamento, cioè la tassatività delle sanzioni e delle elencazione dei comportamenti sanzionabili con anche la gradualità della pena”.

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Insomma: quando è che si lede il prestigio e il decoro di un'istituzione? Basta una critica magari un po’ colorita su Facebook? Dietro questo articolo del Dpr, per l’avvocata, si scorge “il retaggio culturale di anni passati che non vorremmo tornassero più, un’idea di ossequio incondizionato allo Stato che ti dà il lavoro. Tra l’altro voglio ricordare che il giuramento per i pubblici dipendenti è stato abolito. E invece, secondo quel pensiero, bisogna prestare servizio senza criticare, perché altrimenti si andrebbe a ledere l’immagine dell’istituzione”.

D’altra parte, sottolinea Barsanti Mauceri, “lo stesso ministro fa politica nell’esercizio delle proprie funzioni. Valditara, ad esempio, ha cambiato la denominazione del dicastero, diventato dell’Istruzione e del merito per una precisa volontà di perseguire uno scopo. Invece un lavoratore se vuole esprimere il suo disaccordo rispetto a quell’impostazione politica non lo può fare. Ma perché? ”.

In uno Stato laico e democratico il lavoro pubblico lo si rispetta non invocando concetti come decoro, ma, aggiunge, “prestando servizio con trasparenza e assicurando il buon andamento dell’amministrazione. Nella scuola vuol dire fare in modo che essa riesca a svolgere quella funzione sociale che la Costituzione gli riserva. Se poi l’insegnante ha idee divergenti che però non riguardano il rapporto con gli allievi, ma una propria opinione è un altro discorso. Altrimenti, paradossalmente bisognerebbe che neanche andasse a votare!”

Il potere dei presidi

La Flc Cgil, come detto, ha presentato ricorso contro il nuovo codice, denunciando i gravi rischi di compressione delle libertà garantite dalla Costituzione (in particolare gli articolo 21 e 33). Il ricorso è stato però respinto al Tar che non ha riconosciuto il sindacato come soggetto legittimato per questo tipo di azione.

“Ma noi siamo andati avanti, ora siamo al Consiglio di Stato – spiega Raffaele Miglietta, Flc Cgil nazionale –. Siamo ottimisti, perché i nostri rilievi sono quelli stessi mossi dal Consiglio nel suo parere obbligatorio, e cioè il rischio che maglie così larghe offrano troppo spazio ad azioni disciplinari totalmente discrezionali che rischiano di comprimere la libertà di espressione”.

Ma il capitolo “disciplinare” per la scuola non si esaurisce qui. In ballo c’è un’altra questione importante che in questo caso ha anche un risvolto contrattuale. “In tutto il pubblico impiego – riprende Miglietta – la scuola è l’unico in caso in cui le sanzioni disciplinari sono in capo al dirigente. Mi riferisco non a quelle lievi, come la lettera di richiamo, ma a quelle più gravi come le sospensioni fino a 10 giorni. Il preside insomma fa insieme da giudice istruttore e giudice che emette il verdetto. In tutti gli altri settori il dirigente può al massimo comminare una censura mentre le sanzioni più gravi sono affidate all’Ufficio dei provvedimenti disciplinari. Si prevede cioè un giusto distanziamento tra l’organo giudicante e il luogo di lavoro in cui opera il dipendente e che nella scuola dovrebbe essere l’Ufficio scolastico regionale”.

Questa disciplina deriva dal Dl Madia, che ha modificato il Dlgs 165/01. Tuttavia, per essere applicata deve prima essere regolata dal Ccnl in una specifica sequenza contrattuale che riguarda la responsabilità disciplinare per il personale docente ed educativo.

“All’Aran abbiamo ribadito che non arriveremo a nessun accordo finché questa norma non verrà modificata. Resta così in vigore quella precedente che non prevede questo potere sanzionatorio in capo al dirigente – spiega il sindacalista –. Alcuni dirigenti hanno provato a utilizzarla, ma hanno poi perso tutti i ricorsi presentati, anche in Cassazione”.

Anche in questo caso, osserva Miglietta, “nella scuola si giocano partite importanti. Per questo chiediamo di prevedere un organismo di garanzia che tuteli i docenti nei confronti di azioni disciplinari che non dovessero limitarsi ad accertare le condotte ‘antidoverose’ ma dovessero interferire anche nell’autonoma attività didattica compromettendo l’esercizio della libertà di insegnamento”.

In sostanza, il valore supremo della libertà d’espressione che vale per tutti i cittadini assume per un insegnante un significato se possibile ancora maggiore: un docente lavora sulla parola il cui uso libero è fondamento di una democrazia partecipata e dunque compiuta. E certo non è azzardato paragonare la stretta disciplinare sui docenti con i provvedimenti presi dallo stesso Valditara su voti in condotta e sanzioni disciplinari per le studentesse e gli studenti. Sono sul campo, in conclusione, questioni culturali che riguardano l’intera comunità educante. Questioni non individuali ma, appunto, collettive.